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Quarant'anni fa nasceva la Fossa dei Grifoni e mia nonna Luigina cuciva la mia prima bandiera. Quarant'anni son passati, quante sventolate, quanti chilometri dietro al mio Genoa, quanti giocatori, dirigenti, capi e sottocapi ho visto arrivare e poi sparire... Invece io e la mia bandiera siamo sempre lì, con l'entusiasmo e l'amore per questi colori come se fosse la prima volta... Però che bello era lo stadio di una volta e il calcio di allora, senza soldi, senza televisioni, senza polizia e senza leggi e divieti assurdi. Un pensiero va a quei pochi amici che sono arrivati a questa data e a quei tanti, troppi, che la vedono sventolare in Gradinata Nord dal "terzo anello". Ai prossimi 40 anni. Dario. La Bandiera di Dario - di Paolo Romanelli. La Bandiera di Dario è religione. Unisce, lega, corrobora, rassicura. La Bandiera di Dario ha un'asta nuda tra i 2 metri e i 2 e mezzo, il che la fa toccare terra con l'apice mentre aspetti di liberarla. Già perchè la Bandiera di Dario non si sventola, si libera. Crea portanza, non attrito. Vive di una meccanica ortodossa che le quattro aste non bastano a spiegare se non fosse per l'ultimo pezzo che definire unico è perfino banale. La Bandiera di Dario assomiglia a certi uomini che per inquadrare devi vederli da dietro, studiarne la postura, la camminata. La Bandiera di Dario non ha retro, non ne ha bisogno. E' Identità. Quella di chi non la sceglie, non la rinnega. La Bandiera di Dario venne scolpita da un blocco di Fede quarant'anni fa. Il Grifone, il pallone da football, l'alternanza dei colori, il prato verde, gli amici e i cori. Seguitela nel volo, è Genoa.
L'evento. E' ovviamente tra le più antiche d'Italia e ha girato tutti gli stadi del nostro paese e di mezza Europa. E' l'orgoglio degli ultrà del Genoa. La scritta per un caro amico: ricorda Maurizio Sivori (da: corrieremercantile.it) La bandiera di Dario Bianchi compie i suoi primi 40 anni. Quarant'anni controvento, senza mai sfilacciarsi: questa la storia del bandierone rossoblù di Dario Bianchi, cofondatore della Fossa dei Grifoni insieme con un gruppo di amici tra cui Gianni Bardi e Stefano Aloigi, realizzato al ritorno del Genoa in serie A dopo un decennio e "inaugurato" nella trasferta al Menti di Vicenza (28.11.1973 vedi foto, ndr), un pari per 1-1 con reti di Macchi e Sidio Corradi. Gli storici specializzati sostengono trattarsi del vessillo più antico tuttora presente negli stadi italiani, al pari di un drappo nella disponibilità di un sostenitore dell'Udinese. Ovviamente Bianchi è più che orgoglioso, oltre che geloso, del suo cimelio, che in vista del 120° compleanno del Genoa riceverà un tributo adeguato da tutta la Gradinata Nord a partire da domenica sera. Lungo 5 metri e largo 3,5, nel corso di quattro decenni il bandierone si è visto sventolare in tutti gli stadi d'Italia e quelli europei toccati dalla campagna nella Coppa U.E.F.A. 1991/92, da Oviedo a Bucarest, dal "sacrario" di Anfield Road a Liverpool fino a Amsterdam, per non parlare del trionfo all'Empire Stadium di Wembley nella finale di Coppa Anglo-italiana del 1996. Bianchi lo ha portato dappertutto come un segno storico di fede, nelle sue scorribande negli stadi che spesso lo vedevano al fianco dell'inseparabile Sergio Ferreggiaro, che tutti conoscevano come "Callaghan", nome di battaglia non dovuto al rude poliziotto interpretato da Clint Eastwood, ma a un ancor più rude giocatore del Liverpool anni '60. Vento e pioggia hanno imposto, anno dopo anno, sistematici interventi di restauro per prevenire l'inclemenza del tempo che passa e degli agenti atmosferici. Ma il bandierone di Dario è rimasto sempre lo stesso, eccettuata una scritta testimoniale nel ricordo di un caro amico. Il "CIAO MAURI" che Bianchi ha voluto aggiungere, infatti, è il commosso omaggio a Maurizio Sivori, un grande tifoso genoano di Casarza Ligure (a cui è intitolato il Genoa Club locale, ndr) scomparso troppo presto, ma che continua a girare di stadio in stadio, come nome sventolato dall'amico Dario. Sotto, Dario Bianchi con la sua bandiera in quel di Vicenza nell'ottobre 1973 >
Riggs perse dalla King per ordine della mafia. La 'battaglia dei sessi' fu tutto un trucco? (da: repubblica.it). La più famosa partita di tennis della storia, vinta dalla paladina del movimento di liberazione delle donne contro l'ex professionista, in realtà sarebbe frutto di un debito che quest'ultimo aveva con la malavita. La tennista contesta: "L' ego subì un contraccolpo e cominciarono a inventare delle storie". "6-4, 6-3, 6-3". E' stato uno dei tanti slogan urlati dalla donne negli anni settanta per la parità dei diritti, è il risultato di uno dei più famosi incontri di tennis di tutti i tempi, quello che il 20 settembre 1973 a Houston vide Billie Jean King battere Bobby Riggs, davanti a oltre 30.000 spettatori. Ora però si affaccia un dubbio, e cioè che quell'incontro fu una truffa. Ma riavvolgiamo il nastro. Nel 1973 Riggs a 55 anni ritornò in campo per sfidare due tra le migliori tenniste dell'epoca sostenendo che il livello del tennis femminile era troppo basso per batterlo anche a quell'età. La prima sfida fu contro Margaret Court il 13 maggio 1973 e si concluse con una comoda vittoria di Riggs per 6-2, 6-. Un evento tale da ottenne la copertina di Sports Illustrated e del Time magazine. Originariamente Riggs aveva sfidato Billie Jean King che aveva rifiutato, ma dopo la netta sconfitta della Court, la tennista, paladina del movimento di liberazione delle donne, accettò la sfida ricordata come 'La battaglia dei sessi'. Emerge solo oggi che quella partita Riggs, travolto dai debiti di gioco, l'avrebbe persa apposta con la regia della mafia a cui doveva 100mila dollari. Lo ha rivelato, alla trasmissione 'Outside the Lines' della Espn, Hal Shaw, ora 79enne, all'epoca assistente istruttore di golf al Palma Ceia Golf and Country Club di Tampa, in Florida. Shaw ha affermato di aver assistito, proprio nel golf club di Tampa, alla pianificazione della truffa, messa a punto da Frank Ragano, avvocato della mafia, dal boss della Florida, Santo Trafficante Jr. e da quello del crimine organizzato di New Orleans, Carlos Marcello. "Ragano spiegò che Riggs avrebbe prima battuto Margaret Court in modo da far pendere i favori del pronostico tutti dalla sua parte e aumentare la quota per il successo della King", ha affermato Shaw aggiungendo di aver taciuto per 40 anni, per paura. Nel corso di questi 40 anni c'erano stati diversi sospetti su quella storica partita, soprattutto alla luce della facile vittoria di Riggs contro la Court, sospetti sempre negati dal giocatore statunitense che fino alla sua morte avvenuta nel 1995, ha sempre spiegato così la sconfitta: "Come succede spesso, io ho sopravvalutato me stesso e sottovalutato chi mi stava davanti. E ho perso". La ricostruzione di Shaw è stata contestata anche da Billie Jean King: "Per molti uomini fu uno smacco, il loro ego subì un contraccolpo e cominciarono a inventare delle storie".
Kyenge, quattro mesi di insulti e razzismo: la vita agra del primo ministro afro-italiano (da: repubblica.it). Da "scimmia" a "prostituta", l'ininterrotta sequela di offese rivolte contro l'esponente del governo di origini congolesi da parte di parlamentari, dirigenti, amministratori, consiglieri comunali di Lega e Pdl. Con le relative "scuse" e spiegazioni "politiche". ROMA - 'Noi non siamo razzisti, è lei che è negra'. Politicamente scorretta, la famosa battuta riassume purtroppo un atteggiamento diffuso nella politica di destra e centrodestra rispetto a Cécile Kyenge, cittadina italiana di origine congolese, primo ministro di colore nella storia della Repubblica. Sin dai primi giorni dopo la sua nomina al ministero dell'Integrazione, in dichiarazioni pubbliche con l'ammicco, in post su blog e frasi su Facebook e Twitter, lo stato d'animo di moltissimi esponenti della destra parlamentare rispetto a Kyenge - la Lega è la prima, ma la 'pancia istituzionale' del Pdl non è stata da meno - ha trasudato una non contenibile insofferenza spesso precipitata nell'insulto razzista. Il metodo è sempre uguale: prima si lancia l'insulto, poi si chiede scusa, si annunciano espiazioni, si assicura che il razzismo non c'entra nulla e che si tratta di ragioni politiche. In realtà, come conferma anche l'ultimo caso dell'assessore di Diano Marina (Imperia), che ha assimilato il ministro a una prostituta (salvo poi pentirsi e scusarsi), le improbabili spiegazioni successive, con la particolarità di epiteti e insulti scelti, rivelano un sostrato culturale colonial-fascista che l'avvento della società multiculturale e multirazziale ha riportato a galla in una parte del paese. Non si può spiegare altrimenti il martellamento a cui Cécile Kyenge è stata sottoposta nei suoi quattro mesi da ministro. Eccone un parziale, ma impressionante, riassunto. Le prime offese contro Kyenge arrivano ad appena due giorni dalla sua nomina. Pesanti insulti fanno la loro comparsa sui siti della galassia nazi. "Scimmia congolese", "Governante puzzolente", "Negra anti-italiana", sono le offese che si leggono su Stormfront, Duce.net e le pagine dei gruppi attivi su Facebook. In concomitanza, l'europarlamentare leghista Mario Borghezio, conia lo slogan "ministro bonga bonga". Per il quale sarà anche espulso dal suo gruppo a Strasburgo (l'EDF). Il 2 maggio sul muro esterno del liceo scientifico Cornar, a Padova, compaiono frasi ingiuriose contro il ministro e quattro giorni dopo è la volta di un consigliere leghista di Prato, che ancora su Facebook dedica alla Kyenge l'epiteto 'nero di seppia'. Prima dell'improbabile autodifesa: soltanto una zingarata. Meno di una settimana dopo l'attacco viene ancora dal Carroccio. L'autore è il segretario lombardo Matteo Salvini. Il triste pretesto è la follia di Mada Kabobo, che uccide tre persone a picconate a Milano. "I clandestini che il ministro di colore vuole regolarizzare ammazzano a picconate: Cecile Kyenge rischia di istigare alla violenza nel momento in cui dice che la clandestinità non è reato, istiga a delinquere". Si scaglia contro il ministro dell'Integrazione, qualche settimana dopo, anche un consigliere Pdl del quartiere San Vitale a Bologna: "Meticcia sarà lei" - scrive Alessandro Dalrio su Facebook - commentando una visita in città della Kyenge. Ma, tra gli episodi più gravi, va senz'altro registrato il post di Dolores Valandro, consigliera leghista padovana che sempre su Facebook, il 13 giugno, riserva parole shock al ministro: "Ma mai nessuno che la stupri, così tanto per capire cosa può provare la vittima di questo efferato reato?". L'autrice sarà poi espulsa dal partito e condannata a 13 mesi per direttissima. Ancora più disarmante la sua giustificazione: "Non sono cattiva, era solo una battuta". Neanche le polemiche che si scatenano frenano però gli esponenti del Carroccio. Sette giorni dopo dalla pagina ufficiale Facebook della sezione della Lega di Legnano (Verona) parte un nuovo attacco alla Kyenge. Colpevole di aver definito gli immigrati una risorsa. "Se sono una risorsa... va a fare il ministro in Congo! Ebete". A metà luglio il caso più grave dal punto di vista istituzionale. E' il vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, a provocare un'indignazione politica bipartisan. "La Kyenge? Sembra un orango", dice alla festa leghista di Treviglio. Scosso il Quirinale, furioso il premier Letta, il Pd che chiede le dimissioni dell'ideatore del Porcellum. Inutile: Maroni condanna l'episodio, ma il partito non forza la mano e Calderoli resta al suo posto." Solo una battuta simpatica, ho telefonato per scusarmi" dirà l'interessato, prima di consegnare un mazzo di fiori in Aula al ministro. La retromarcia non gli evita di essere indagato per diffamazione e discriminazione razziale. Il caso arriva fino all'Onu che definisce scioccante l'affermazione del leghista. Reagisce la società civile e il fondatore di Eataly, Oscar Farinetti, dichiara: "Calderoli a Eataly non può entrare, per motivi di igiene". Sembrerebbe abbastanza per consigliare anche ai più esagitati una pausa di riflessione. Ma quella leghista per la Kyenge è una vera ossessione. Due giorni dopo le offese del vicepresidente del Senato, è il segretario della Lega Emilia, Fabio Rainieri, ad attaccare: "Il ministro Kyenge è entrata in Italia da clandestina". Il 18 luglio è invece la volta di Agostino Pedrali, assessore al comune di Coccaglio (Brescia): "Sembra una scimmia", scrive su Facebook. "Parassita" è invece l'insulto che le riserva Luciano D'Arco, consigliere indipendente (ma ex leghista) di Casalgrande, nel Reggiano. Un climax che porta a un altro episodio inquietante: il lancio di banane contro il ministro intervenuto alla festa Pd di Cervia. "Uno schiaffo alla povertà" e "uno spreco di cibo" è la replica ironica della Kyenge, che riceve solidarietà bipartisan da tutto il mondo politico. Gianluca Pini, segretario della Lega in Romagna invita il ministro alla festa della Lega per provare a riportare il confronto su un piano civile, Terreno non congeniale a tutti. Se è vero che lo stesso giorno è un consigliere ex An di Prato, Giancarlo Auzzi, a scrivere su Facebook: "Banane? E' quello che si merita, un rappresentante di questo governo". Negli stessi giorni, un nuovo affronto leghista si registra a Cantù, quando due consiglieri (e un terzo ex del Carroccio) lasciano l'aula del consiglio comunale all'arrivo del ministro. "Maroni fermi gli attacchi contro di me", replica lei all'indomani, o non vado alla festa della Lega. Appello che resta inascoltato. Anzi un altro esponente leghista di prima linea, l'ex ministro Roberto Castelli, rincara la dose: "E' una totale nullità". Salta così l'incontro, ma non si fermano gli insulti. L'ennesima offesa da un componente della giunta di Lograto, centro del Bresciano: "Vaff... musulmana di m..", scrive su Facebook Giuseppe Fornoni. Ad agosto, infine, Matteo Salvini annuncia un referendum contro il ministero dell'Integrazione: "Inutile e da abolire".
Tifosi geneticamente modificati. Così Internet e i voli low cost hanno cambiato le tribù del calcio (da: corriere.it). Dicono che nella vita si può tifare per una squadra sola? Non è vero. Dicono che cambiare squadra è un tradimento? È ancora meno vero. Tre anni fa Paolo Sacco era in cima alla coda dei tifosi interisti fuori da una banca per acquistare un biglietto per la finale di Champions contro il Bayern. Viste le dimensioni della fila, José Mourinho fece sapere che il primo biglietto l'avrebbe pagato lui. Così fu e Paolo Sacco salì ad Appiano per ringraziare l'allenatore. Lo ha fatto per altri tre anni, tutte le volte che andava a Madrid per tifare Real e aspettare lo Special fuori dal centro di allenamento di Valdebebas. A 26 anni, Paolo è un cameriere precario, quindi deve scegliere attentamente su quali partite puntare: la scorsa stagione, ad esempio, aveva deciso di saltare la semifinale di Champions puntando tutto sulla finale, solo che poi ci andò il Borussia Dortmund. E Mou è tornato all'amato Chelsea, quindi ora Paolo punterà verso Londra. Ma a precisa domanda (se ci fosse l'Inter a giocarsi la Coppa dei Campioni contro i Blues, chi tiferesti?) risponde senza esitazione Inter. Segno che un minimo di lucidità gli è rimasta. Un po' meno ne conserva il gemello opposto di Paolo Sacco. Gemello anonimo, perché di professione fa il ghost writer e soprattutto perché teme che i familiari lo sottopongano a trattamento sanitario obbligatorio. Lo Scrittore Fantasma è anch'egli interista, ma non ha mai amato Mourinho (prima ragione per candidarlo a un Tso). Oltretutto, da tempo nutre una feroce - ma comprensibile - passione per il Barcellona. E così, ogni anno investe 130 euro in qualità di socio del club blaugrana, per avere la prelazione nell'acquisto dei biglietti. Quando può, va: e più di una volta ha tifato smodatamente contro il Real di Mou, nei numerosi «clasicos» visti al Camp Nou. Insomma, parte il campionato italiano e ripartono anche i tifosi. Ma le destinazioni non sono quelle che ci si aspetterebbe, tipo una banale trasferta in Italia. Grazie anche a Internet e ai voli low cost, la vasta tribù del calcio sta andando incontro a una modificazione genetica, di cui i due casi appena raccontati sono i fenomeni più semplici da capire. Come la passione sfrenata che Simone Bertelegni, redattore editoriale, prova per l'Athletic Bilbao, squadra di fascino e tradizione non comuni. Pure lui interista, nel 2000 ha però fondato un fan club della squadra basca (i Peña Leones Italianos, www.leonesitalianos.net). Mentre i soci salivano fino a 150, Bertelegni scriveva un libro («L'utopia calcistica dell'Athletic Bilbao», Bradipolibri) e organizzava trasferte in aereo, macchina o pullmino. Quando, invece, smette di guidare l'autobus a Genova, Davide Provvidoni, 40 anni, parte per il Nord Inghilterra. Che è la patria del Tow Law Town. Provvidoni sarebbe genoano, abbonato da 22 anni e fidanzato con Barbara, abbonata da prima di lui. Ma da cinque anni a questa parte compare sempre più spesso in un piccolo stadio da 3.000 posti, vicino a Newcastle, «un po' per l'antica passione per il calcio inglese, un po' perché la tessera del tifoso ha reso difficili le trasferte, che mi piacciono molto di più delle partite in casa». Come ha raccontato Il Secolo XIX , Provvidoni ha scoperto su Internet questa squadra di dilettanti del Nord Inghilterra. Da allora va appena può, vede anche quattro partite di categorie simili nello stesso weekend («ma se c'è Barbara una sola...») e torna a casa carico di felpe del club, che rivende agli amici per finanziare la sua nuova squadra: «Ormai, l'unica partita italiana di cui tengo conto per i miei viaggi è il derby». Magari, in qualche aeroporto ha incontrato Giorgio Zunino, 23 anni, fotografato dal mensile britannico Four Four Two come volto degli Italian Magpies, i fan del Notts County, i bianconeri d'Inghilterra, squadra di terza serie inglese, una delle più antiche del Paese e ispiratrice della maglia della Juventus. In questo caso, quindi, i viaggi sono bidirezionali: tifosi juventini vanno al Madow Lane di Nottingham e gli inglesi si presentano allo Juventus stadium di Torino. Tra un viaggio e l'altro, la pagina Facebook degli Italian Magpies viene continuamente aggiornata con foto delle partite, cronache in diretta e notizie di ogni genere sulle due squadre. Una reciprocità sconosciuta a due ignoti norvegesi che, nei 13 anni tra il 1991 e il 2004, in cui il Rosenborg vinceva ininterrottamente il campionato nazionale, seguirono la squadra di Trondheim in tutte le trasferte: per tifare sistematicamente contro. Sotto, Bruce David Grobbelaar, che matto!
Vai allo stadio? Troppa burocrazia. Comprare biglietti è quasi impossibile. (da: gazzetta.it) Tessera del tifoso, divieti, documenti: quanti disagi. Iter da snellire e nuove tecnologie da sfruttare. 18 agosto 2013, un’ordinaria domenica di mezza estate. Fuori dal Meazza, prima di Inter-Cittadella, centinaia di tifosi tentano invano di acquistare un biglietto: famiglie in coda lottano contro quel mostro che è la burocrazia e, dopo un po’, tornano a casa delusi. Qualche ora più tardi, dentro l’Olimpico, centinaia di pseudo-tifosi della Lazio non la smettono di fare buu ai giocatori neri della Juventus, protetti da uno stato di impunità. Ripensando a quei due fotogrammi si rafforza il sospetto: c’è qualcosa che non va nella gestione del pubblico da stadi se, in nome del sacrosanto principio della sicurezza, si finiscono per punire le persone perbene più di quanto non si riesca ad allontanare dai nostri campi quella sparuta minoranza che, ormai impossibilitata ad esercitare la violenza fisica, ripiega su quella verbale. Sicurezza e servizi — Le statistiche del Viminale testimoniano in modo inconfutabile che gli incidenti, i feriti e l’impiego di polizia all’interno degli stadi sono sensibilmente calati negli ultimi anni. Ma, a questo punto, con una Serie A che cattura solamente 23.000 spettatori medi a partita, lontanissima da Bundesliga (44.000) e Premier (36.000), con un calcio italiano che lotta per recuperare l’interesse perduto, è quanto mai necessario semplificare quel percorso, simile il più delle volte a una via crucis, che il tifoso medio deve seguire per arrivare a sedersi sugli spalti. Basta sentire la gente - e lo stesso Osservatorio l’ha fatto nella ricerca 'C’era una volta l’ultras' - per scoprire quanto sia forte l’insofferenza non solo verso la tessera del tifoso ma più in generale per quel complesso di procedure e limitazioni che, spesso, finiscono per scoraggiare chi voglia gustarsi una partita dal vivo. Tanto, c’è sempre la tv... Inutile girarci attorno: recarsi allo stadio è diventata un’impresa, di sicuro più complicata che prendere un treno o andare a teatro. Difficoltà — L’origine di tutto sta nel biglietto nominativo, introdotto nel 2005: per acquistarlo serve la carta d’identità. Poi, nel 2010, è arrivata la tessera del tifoso, con un costo supplementare e tutti quei moduli da compilare, obbligatoria per abbonarsi e per andare in trasferta. Se non la si fa, niente partite fuori casa, a meno che non si scelga un settore diverso da quello ospiti. Ma nemmeno ciò è possibile se le autorità di pubblica sicurezza fanno scattare il divieto di acquisto per i residenti nella regione della squadra forestiera. E comunque comprare il tagliando nel giorno della partita proprio non si può. Detto banalmente: il papà che, senza pianificare nulla e in assenza del passepartout della tessera, decide al mattino di portare il figlioletto allo stadio, piuttosto che al cinema, ha scarsissime possibilità di riuscirci. I disagi maggiori, insomma, sono per l’appassionato mordi e fuggi, non fidelizzato, che comunque rappresenta un enorme serbatoio per il movimento: basti pensare ai 22,8 milioni di persone che dichiarano di tifare per una squadra di A secondo le indagini demoscopiche commissionate dalla Lega. Un numero ben superiore alle tessere rilasciate sinora (1,2 milioni). Raccomandazioni — Lo stesso Osservatorio sa che bisogna fare qualcosa. Anzi, l’ha pure messo nero su bianco con la determinazione dell’8/2/12. Una raccomandazione, innanzitutto, a sfruttare le possibilità offerte dalle nuove tecnologie "a distanza e in mobilità". Va incentivato l’acquisto on line dei biglietti, così come avviene per i treni, gli aerei o i concerti, e in particolare il cosiddetto ticketless: ti compri il tagliando sul telefonino ed eviti le code. L’Osservatorio, in quella circostanza, spingeva anche per rivedere, limitatamente ai possessori della card, il divieto di vendita dei biglietti del settore ospiti il giorno della partita. È trascorso un anno e mezzo ma nulla si è fatto. Vogliamo o no riportare la gente negli stadi?
Anche il presidente del Genoa Enrico Preziosi testimonial dell'Arcobaleno (da: lanazione.it) "E' una cosa importante promuovere una regione bellissima come la Toscana - ha detto Preziosi - qui c'è tutto, mare, monti, c'è vita, ottima cucina, carne, salumi, belle donne, belle persone, c'è tutto". Massa Carrara, 22 agosto 2013 - C'è anche l'ex dirigente della Carrarese e attuale presidente del Genoa Preziosi tra i testimonial della festa dell'Arcobaleno. Oggi il presidente rossoblù si è fatto fotografare con la t-shirt della Nazione al bagno "Roma di levante" di Forte dei Marmi del patron della Capannina e della Bussola Gherardo Guidi, ex dirigente della Fiorentina negli anni '70. Assieme a lui l'avvocato Mattia Grassani, tra i massimi esperti di diritto sportivo, che ha difeso brillantemente il Genoa e il calciatore Milanetto al processo per il calcioscommesse. La squadra di Preziosi è stata assolta in pieno. Una schiera di ragazzini ha posato per la foto assieme a Preziosi e al suo legale. "E una cosa importante promuovere una regione bellissima come la Toscana - ha detto Preziosi - qui c'è tutto, mare, monti, c'è vita, ottima cucina, carne, salumi, belle donne, belle persone, c'è tutto". Anche lei presidente parteciperà a questa festa? "Sicuramente, fin quando sarà possibile starò qui al mare". Presidente, un augurio ai lettori della Nazione.. "Sì, tantissimi auguri a tutti i lettori della Nazione e che stiano bene tutti".
Razzismo, i tifosi perbene possono battere i beceri (da: repubblica.it). Prima gara della stagione 2013-'14: Verona-Milan, sabato 24 agosto ore 18. Subito la verifica. La tifoseria veronese è migliorata negli ultimi tempi dopo pessimi esempi di razzismo e violenza ed è chiamata adesso subito all'esame. Sì, perché nel Milan c'è Mario Balotelli e i cori contro di lui, al termine della stagione passata, avevano portato alla chiusura della curva della Roma (1 settembre, con il Verona) e in passato (2010) anche a quella della Juventus. Ora le norme sono cambiate, e non consentono più scappatoie: prima sanzione, chiusura di un settore (vedi Lazio). In caso di recideva chiuso tutto l'impianto. La Figc, giustamente, ha abolito il 5 agosto scorso le esimenti, che attenuavano le pene, e ora non c'è più, come in passato, la collezione di (inutili) ammende. Macché, subito chiusa la curva. Decisione che danneggia più i tifosi dei club, come voluto da Platini. Ma non danneggia soli i beceri, che sono-per fortuna-minoranza ma anche tutti i tifosi perbene, quelli che vorrebbero tornare negli stadi (e la crescita degli abbonamenti è un segnale confortante). Esempio: gli oltre 10.000 abbonati della Curva Nord della Lazio, domenica con l'Udinese, non potranno riciclarsi in un altro settore (staranno a casa, oppure con le radioline davanti all'Olimpico), mentre chi ha acquistato il biglietto della curva può chiedere a Lotito di avere indietro i soldi o spostarsi, pagando, in altro settore (più caro) della curva. A questo punto, le strade sono due: che i tifosi perbene prendano seriamente e non sporadicamente le distanze da questi beceri e che le tv non si nascondano più, riprendendo le facce dei razzisti (così qualcuno di loro il giorno dopo andando un ufficio o a scuola forse si vergognerà...). Ma sbagliato sarebbe dare la colpa solo a tifosi di Lazio e Roma: anche quelli di Juventus e Inter si sono "distinti" per comportamenti razzisti, e non solo in campionato ma pure in Europa. In altre Nazioni (vedi la Germania, spesso esempio di virtù) succede lo stesso. E il senatore Gentile (Pdl) ammonisce: "Basta anche cori contro Napoli". Ha ragione, sono altrettanto stupidi e odiosi. I cori razzisti hanno portato alla fuga dal campo di Boateng e Constant, due calciatori del Milan: sbagliato, se si sentono offesi hanno tutto il diritto ad andare dall'arbitro e lamentarsene (poi l'arbitro può sospendere le partita come ha fatto Rocchi a San Siro). Adriano Galliani ha spiegato chiaramente ai suoi come ci si deve comportare (e probabilmente ha anche multato Constant). Non bisogna abboccare al trabocchetto degli idioti che cercano di far perdere i nervi ai calciatori di colore, soprattutto ai più pericolosi, vedi Balotelli. Mario a volte in campo ha un comportamento sopra le righe, protesta troppo con gli arbitri (che non lo amano molto...) e discute troppo con gli avversari. Ma non merita di essere insultato per la sua pelle. Lui come tutti gli altri. Se alcuni tifosi della Lazio si sentivano frustrati per il 4-0, potevano anche fischiare, non prendersela con Pogba e c. Che c'entrano loro? Nella gara di Reggio fra Sassuolo e Milan, la Digos non ha rilevato un atteggiamento razzista contro Constant, l'arbitro Gervasoni invece sì e difatti il Sassuolo (norme Figc vecchie) è stato solo multato. Così come domenica all'Olimpico: come mai la questura di Roma, nella sua nota, non ha fatto alcun cenno ai cori razzisti? Per la verità era già successo quando la Lazio si vide squalificare il campo in Europa League: le braccia tese furono viste solo dal commissario Uefa e non dal commissario di polizia (aveva dimenticato la macchina fotografica in ufficio?). C'è qualche problema di coordinamento: per la polizia non è facile identificare i tifosi e punirli in base alla legge Mancino. Secondo alcuni i cori contro Balotelli non sarebbero razzisti, ma solo provocatori: non sono d'accordo. Perché allora non fanno buu ad esempio ad Abbiati o Montolivo? No, c'è una componente razzista, mischiata a rabbia, provocazione, stupidità, frustrazione, eccetera (qui ci vorrebbe uno psichiatra). Ma qualcosa va fatto e temo che quest'anno vedremo molte curve vuote. "Questa gente noi non la vogliamo nei nostri stadi": da apprezzare non solo le parole di Giancarlo Abete ma anche le norme varate dal consiglio federale, pronto a recepire subito le direttive Uefa. Ripeto: facciano sentire la loro disapprovazione i tifosi perbene, quella maggioranza sinora sin troppo silenziosa. Così i beceri, si spera, un giorno si stancheranno...
Lazio, cori razzisti: curva Nord chiusa un turno. La curva Nord prima di Lazio-Juve (da: repubblica.it). ROMA - Chiusa per un turno la Curva Nord degli ultras laziali dell'Olimpico: lo ha deciso il giudice sportivo che ha punito gli ululati razzisti contro alcuni giocatori della Juventus (Pogba, Asamoah, Ogbonna) durante la finale di Supercoppa tra la Lazio e la Juventus, vinta per 4-0 dai bianconeri. Come si legge nelle motivazioni, il giudice sportivo ha punito la Lazio "per avere suoi sostenitori, collocati nel settore dello stadio denominato 'Curva Nord', indirizzato, al 16° ed al 28° del primo tempo e continuativamente dal 20° al 43° del secondo tempo, grida e cori espressivi di discriminazione razziale nei confronti di tre calciatori della squadra avversaria". Infrazione, questa, rilevata anche dai collaboratori della procura federale. La Lazio e la Juventus dovranno inoltre pagare una multa di 5mila euro per il lancio di fumogeni.
Atlete russe: "Il nostro bacio in bocca non era protesta contro legge antigay" (da: repubblica.it). MOSCA - Tatyana Firova e Kseniya Ryzhova, le due atlete russe che hanno festeggiato la vittoria della medaglia d'oro nella 4x400 ai mondiali di atletica di Mosca baciandosi sulle labbra, hanno smentito all'Ansa che il loro fosse un gesto di protesta contro la legge omofoba varata da Putin. "Storie gonfiate dai media occidentali, era solo un'espressione di gioia", hanno fatto sapere attraverso la portavoce della federazione. "Le interpretazioni non corrispondono alla realtà. Il bacio era un'espressione di gioia per la vittoria e nient'altro, non c'era alcun retropensiero", ha riferito la portavoce Alla Glushenko per conto delle due atlete, Tatyana Firova e Kseniya Ryzhova, che non hanno voluto parlare personalmente della questione. Il bacio sulle labbra anche tra persone dello stesso sesso rientra nella tradizione sovietica (celebre quello di Brezhnev a Honecker) ed è tuttora diffuso tra i russi per salutarsi o congratularsi affettuosamente. Oggi la stampa russa ha completamente ignorato quel bacio apparentemente 'saffico'. Non è il primo caso di polemiche sulla legge anti-omosessuali voluta dal presidente russo a questi mondiali di atletica di Mosca. Giovedì scorso, in una conferenza stampa dopo la medaglia d'oro campionati del mondo di atletica, Elena Isinbayeva ha condannato l'atto delle atlete svedesi che si sono dipinte le unghie con i colori dell'arcobaleno, simbolo del movimento Lgbt come "mancanza di rispetto per il nostro paese. Forse siamo diversi dagli europei e da cittadini di altri paesi. Ma è la nostra legge, e tutti la devono rispettare" ha detto in inglese. Le sue dichiarazioni hanno sollevato un putiferio, costringendosi l'atleta poi a smentirsi: "parole male interpretate" e "mi oppongo a qualsiasi discriminazione". Il tutto pero fa presagire non solo maretta, ma un vero tifone alle prossime olimpiadi invernali 2014 ospitate dalla Russia a Sochi, sul mar Nero. Già il comitato olimpico australiano ha lasciato trapelare preoccupazioni per la possibilità che i propri atleti verranno discriminati dalla legge antigay voluta da Putin, benché nelle squadra olimpica australiana non ci siano gay dichiarati.
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