Presentazione Contributi Strutture Old editions

Hogan Olympia Uomo 2013 Prezzi Hogan Stivali Donna Prezzi Hogan Nuove 2015 Prezzi Hogan Uomo 2015 Prezzi Hogan Uomo 2014 Prezzi
NEWS   |

Football Aid per l’ospedale Gaslini - da Un Cuore Grande Così il 27/02/2014 @ 16:36

Football Aid per l’ospedale Gaslini.
Sabato 24 e domenica 25 maggio andrà in scena allo stadio Luigi Ferraris la prima edizione italiana di Football Aid. Come sempre il Genoa CFC 1893 è pioniere e apre la strada nella nostra penisola.
Questa splendida iniziativa che ha radici britanniche, altra concomitanza non casuale, è attiva nel Regno Unito dal 2001 e ha già raccolto centinaia di migliaia di sterline, tutte devolute in beneficienza, consentendo a più di 14.000 appassionati calciofili di indossare le proprie maglie del cuore calcando i prati verdi di svariati stadi inglesi, la stessa cosa sarà appunto possibile nell’ultimo weekend di maggio a Marassi.
Vista la finalità benefica a favore dell'Ospedale Gaslini e il fascino di vestire la maglia del nostro Grifone, coronando il sogno di giocarvi all’interno del nostro Campo, Un Cuore Grande Così ha pensato di appoggiare la manifestazione divulgandone il più possibile la notizia sperando così che abbia il giusto risalto tra le fila del popolo rossoblù.
La speranza è altresì che le maglie in vendita/all’asta online vengano aggiudicate tutte quante al più presto, magari prima degli “altri”, dimostrando così ancora una volta che quando c’è di mezzo -il fare del bene-, sotto qualsiasi forma, i tifosi del Genoa hanno sempre una marcia in più.
Tutte le info relative al come partecipare si possono trovare, anche in italiano, sul sito web ufficiale: www.footballaid.com

locandin2.jpg


Musica e Genoa, binomio vincente - da Un Cuore Grande Così il 23/02/2014 @ 14:44

Jack Savoretti, prodigio dalla voce ruvida con il Genoa nel cuore (da: lastampa.it di Daniela Borghi). Il cantautore italo-inglese ha presentato il suo tour italiano, che partirà il 5 marzo da Genova, nell’ambito delle iniziative collaterali al Festival di Sanremo.
È italo -inglese e uno «sfegatato» (si definisce così) tifoso del Genoa il prodigio dalla voce ruvida e appassionata programmato dalle radio con la canzone «Changes». Il cantautore londinese con padre ligure ha presentato il suo tour italiano a «Casa Sanremo». «Il 5 marzo inizierò proprio da Genova - ha detto il cantautore trentenne - È per me una grande emozione e un onore. Tifosi si nasce, e da mio padre ho ereditato l’amore per il Genoa, che è la squadra migliore al mondo. Vado a Marassi da quando avevo 5 anni».
Il nuovo talento della musica inglese con l’anima italiana (è una scoperta di Teresa Guccini, figlia del cantautore) è considerato il nuovo Bob Dylan. A luglio ha aperto il concerto di Bruce Springsteen all’Hard Rock Calling Festival di Londra. A ottobre ha partecipato all’ultimo video di Paul McCartney, «Queenie Eye», girato negli Abbey Road Studio di Londra con Meryl Streep, Johnny Depp, Kate Moss, Sienna Miller, Sean Penn, Jeremy Irons, Jude Law, Gary Barlow e altre star. «Se starnutite non mi vedete - dice - ma nel “making of” del video ci sono. È stato pazzesco vedere che McCartney era più emozionato di me a suonare in quel posto mitico». Di Springsteen dice: «Se lo chiamano il “boss” è perchè c’è un motivo», dice. Il singolo «Changes» che è già tra le 100 canzoni più programmate dalle radio italiane. «Sono venuto in Italia adesso perchè era il momento giusto», spiega. Savoretti è rimasto stupìto dal clima festivaliero: «E’ surreale. Avete un Festival unico, che si potrebbe migliorare, ma che mi ha divertito molto. Sono onorato di essere stato invitato a Sanremo e di averlo così conosciuto. In questi due giorni sanremesi sono successe cose incredibili», ha detto, con entusiasmo, nell’ambito del «live» al Palafiori. L’artista è stato infatti protagonista della movida post-Festival con un coinvolgente show case.
Umile e appassionato, con il suo sorriso da bravo ragazzo e la grinta di chi vive per la musica, ha conquistato pubblico e addetti ai lavori. Ha proposti brani di sua composizione e «Ancora tu» di Lucio Battisti. «Da bambino mi sembrava un brano sciocco, e invece poi l’ho apprezzato molto - ha aggiunto - Sono cresciuto tra tanti stumenti musicali che trovavo in casa, ascoltando musica californiana e autori italiani come Battisti, Guccini e De Gregori. Mi piace sposare questi due generi».
Ecco le date italiana del tour di Savoretti:
5 marzo La Claque, Genova
6 marzo Kojak, Ravenna
7 marzo New Age Club, Roncade
8 marzo Osteria Barabba, Padova
10 marzo Paradiso Perduto, Venezia
11 marzo Blue Note, Milano
12 marzo Cantina Bentivoglio, Bologna
14 marzo Lapsus, Torino
15 marzo Il Combo Social Club, Firenze
16 marzo Honey Money, Udine



Per noi sarà sempre Jan Peters Olè!! - da Un Cuore Grande Così il 20/02/2014 @ 17:00

Peters, il raccomandato di Krol (da: tuttocalciatori.net di Lucio Iaccarino). Il campione olandese del Napoli consigliò il Genoa di ingaggiare il biondo Jan, suo connazionale! Il centrocampista ringraziò, ma non sul campo: finì in serie B!
Non solo nel lavoro, nella politica o in altre innumerevoli attività sociali: le raccomandazioni hanno coinvolto anche il mondo del calcio, e in fondo nessuno deve sorprendersi. Nel caso della meteora (??? ndr) in questione, tuttavia, il concetto va espresso in maniera meno brutale, quasi amichevole. Un grande calciatore, un campione assoluto del calibro di Ruud Krol, approdò in Italia dopo una carriera fantastica nell’Ajax, dove vinse tutto quello che c’era da vincere. Ebbene, l’olandese Krol giocò nei primi anni ottanta nel Napoli e manifestò il desiderio, sfruttando le amicizie italiane, di aiutare un suo amico e connazionale nel trovare un ingaggio dalle nostre parti. Un gesto che fu fin troppo equivocato, specie dopo un discusso Napoli-Genoa che qualche malizioso interpretò come l’antipasto di un accordo sottobanco. Nulla fu mai provato, è doveroso ricordarlo; l’anno dopo, però, il suddetto raccomandato (o meglio amico) firmò un contratto interessante proprio col Genoa. Purtroppo il suo passaggio nella nostra penisola fu tutt’altro che entusiasmante…
Johannes Peters, Jan per gli amici, arrivò quindi in Liguria nell’estate del 1982; olandese di Rotterdam, era nato il 18 agosto del 1954. Riconoscibilissimo per la sua zazzera bionda, era un centrocampista con un’attiva propensione alla manovra, capace di trovare spesso la via del gol. In patria aveva militato nel NEC e nell’AZ ’67, e guardando il tabellino c’era certamente il sentore che fosse un buon acquisto per il sodalizio rossoblu. Nella sua prima annata, tuttavia, non arrivarono reti ma se non altro il Genoa riuscì a salvarsi, ma per un misero punticino: 27 contro i 26 del Cagliari (sardi retrocessi insieme a Cesena e Catanzaro).
Jan Peters aveva sostanzialmente già deluso, ma il Genoa credeva ancora nelle sue doti e confermò l’olandese nel 1983/84. L’allenatore dei grifoni era Gigi Simoni, tutt’altro che uno sprovveduto, mentre scorrendo la rosa non mancavano nomi importanti come il bomber Briaschi, l’eterno Claudio Onofri, i giovani rampanti Policano e Paolo Benedetti e il portiere Martina. Il grave errore della società ligure, forse, fu quello di non correggere gli errori dell’anno precedente. Per la serie: errare è umano, perseverare è diabolico! Quella stagione, difatti, fu un’autentica via Crucis per tutti, con Peters addirittura ai margini fra panchina e infermeria. Jan giocò appena la metà delle partite in campionato, sempre in perenne difficoltà e con un rendimento scadente. Nel corso della nona giornata, datata 20 novembre 1983, arrivò il primo (ed unico) gol della sua esperienza italiana: Genoa-Inter 1-1, reti proprio di Peters e di Aldo Serena. Poi solo delusioni e sconfitte, per una classifica che ancora una volta si stava per trasformare in un’incredibile e drammatico rush finale per non retrocedere in serie B. Quattro squadre coinvolte per evitare il baratro, e a nulla servì la splendida vittoria nell’ultima partita (con Peters titolare e finalmente positivo) contro la Juventus campione d’Italia: 2-1, 13 maggio 1984 (Cabrini, aut. Vignola, Bosetti). Il Genoa arrivò a quota 25 punti, gli stessi della Lazio di Bruno Giordano: ma la serie B toccò ai liguri per il minor numero di punti conseguiti negli scontri diretti. La delusione fu cocente, il boccone difficilissimo da digerire…
Tuttavia restò in Liguria anche in seconda serie, dove mise a segno 4 reti ma fu ancora limitato da fastidiosi guai fisici. Peters e l’Italia erano ormai dei separati in casa, ma prima dell’addio definitivo l’olandese ebbe un’altra breve esperienza con l’Atalanta: appena 8 partite nel 1984/85. Tornò in patria senza rimpianti, e gli toccò comunque ringraziare a vita il collega Krol per l’interessamento alla sua causa. Jan non era di certo un brocco patentato, e lo dimostra la sua carriera con la nazionale dell’Olanda. Una squadra straordinaria a quei tempi, anche se Peters apparteneva alla generazione successiva a quella dei talentuosi Cruijff, Neskens, Rep e dello stesso Krol. Giocò con gli orange fino al 1982, collezionando in tutto 31 gettoni di presenze con 4 gol. Nessun risultato di rilievo, se si esclude il terzo posto ai campionati europei del 1976 in Jugoslavia. E c’è una curiosità, condita da una piccola rivalsa: Peters si ritrovò come avversario l’Italia in due circostanze. Nella prima gli azzurri si imposero a Milano per 3-0, in un amichevole datata 24 febbraio 1979. Due anni dopo, però, in un incontro valido per la “Copa de Oro” a Montevideo, la sfida terminò in parità: 1-1. Il 6 gennaio 1981 Jan Peters si tolse lo sfizio di realizzare il punto per gli olandesi, pareggiando il gol iniziale del nostro Carlo Ancelotti.

Sotto, una delle vere concause dell'amaro campionato '83/84

eloi.jpg



Calcio e business? - da Un Cuore Grande Così il 12/02/2014 @ 13:36

Dal Milan al Genoa, in Serie A le "cessioni" dei marchi valgono oltre 600 milioni (da: ilsole24ore.com).
La cessione del marchio è stata "importata" nella Serie A dalla metà degli anni Duemila. Finita l’epoca d’oro delle super plusvalenze, e con la necessità di mettere a posto i bilanci, specie dopo l’intervento della Unione Europea che ha ridotto da 10 a 5 anni lo spazio in cui realizzare svalutazioni e ammortamenti in base alla legge spalma debiti del 2003, il calcio italiano si è finanziato con questo meccanismo con operazioni il cui valore contabile ha superato i 600 milioni di euro. Alla classica formula di vendita e riaffitto del marchio oggi si preferisce quella della formazione di una nuova società cui si conferisce il ramo d’azienda legato allo sfruttamento del brand, come nel caso del Genoa.
La formula “classica”. Nel modello tradizionale, in pratica, il brand viene venduto a una società collegata al club calcistico, il quale incassa un certo corrispettivo subito, in modo da poter aggiustare i conti e “riaffitta” contestualmente il marchio dalla società per poterlo sfruttare commercialmente, pagando un canone periodico. I soldi che la società collegata versa al club calcistico per comprare il marchio vengono di solito da un prestito bancario. La società cessionaria del marchio quindi si trova a pagare a sua volta ogni anno alla banca le rate per estinguere il prestito (quota capitale più gli interessi che sono leggermente più bassi del canone di lacazione versato dal club calcistico). In definitiva, il giro di denaro non è altro che un prestito bancario “mascherato” che consente al club calcistico in difficoltà di incassare subito una somma importante, spalmando il rosso in più esercizi attraverso il riaffitto del suo brand.
Le cessioni del marchio. Il Milan, per esempio, ha concluso un trasferimento parziale del proprio marchio a Milan Entertainment srl nel settembre del 2005 per circa 180 milioni. A dicembre 2005 l’Inter ha scorporato il marchio cedendolo a una società controllata, la Inter Brand Srl, per 158 milioni. A finanziare l’operazione, con 120 milioni, è stata Banca Antonveneta. A giugno 2005 è la volta di Reggina e Brescia che rispettivamente per 10 e 20 milioni hanno ceduto i marchi a Reggina Service srl e Brescia Service srl. A luglio 2005 la Sampdoria ha trasferito per 25 milioni il marchio a Selmabipienne. La Lazio, invece, ha venduto il marchio per 95 milioni a Lazio Marketing & Communication spa nel settembre 2006. Qualche mese dopo la Roma ha ceduto alla Soccer sas il ramo d’azienda dedicato a merchandising e marketing per 125 milioni. Da ultimo ci ha pensato l'Hellas Verona che ha ceduto nel 2013 le attività di valorizzazione e commercializzazione del marchio "Verona" alla società correlata "Hellas Verona Marketing & Communication Srl".
Covisoc e Agenzia delle Entrate. Queste operazioni, secondo i detrattori, rappresentano null’altro che maquillage contabili. Chi le difende sostiene che si tratta di forme di razionalizzazione delle attività dell’impresa calcistica La Covisoc, l’organo di controllo del settore, aveva sollevato all’epoca qualche obiezione poi rientrata a patto che la valutazione del brand fosse basata su una perizia autorevole. Lo stesso Fisco dopo un’attenta analisi ha escluso forme di elusione a patto che ci sia la prova dell’effettiva reddititivà dell’operazione.
Il caso Siena-Mps. Tra i casi più recenti c’è quello del Siena, club che ha dovuto rinunciare al sostegno garantito dal Monte dei Paschi attraverso le tradizionali sponsorizzazioni per circa 8 milioni annui (il team di basket ne riceveva circa 20). Nel 2012, la banca ancora guidata da Giuseppe Mussari ha finanziato una complessa operazione da 25 milioni relativa alla cessione di un ramo d’azienda dall’A.c. Siena, il club che fa capo alla famiglia Mezzaroma, a una srl, la B&W communication. A questa società, costituita il 12 ottobre 2011, sono stati ceduti i marchi A.C. Siena ed A.C. Siena Robur 1904, brand che avevano un valore contabile di 14.826 euro e il cui trasferimento ha generato una plusvalenza di 25.085.174 euro. La vendita è stata stipulata il 29 dicembre 2011 e "sospesa" in attesa che la B&W communication trovasse un finanziamento, giunto, dopo le vacanze natalizie, il 9 febbraio 2012 grazie a Mps. A cessione avvenuta il Siena Calcio ha concordato con la B&W communication una licenza di durata ventennale per poter utilizzare i due marchi sociali: per questa concessione ha pagato alla B&W communication 1,5 milioni nel 2012, e corrisponderà 1,4 milioni quest’anno e 1 milione all’anno per tutta la durata dell’accordo. Dalle visure camerali le quote della B&W (che dichiara un capitale sociale, dato in pegno a Rocca Salimbeni, di 120mila euro) risultano di proprietà di Davide Buccioni, Fabrizio Sacco e della "Pontina srl 2000", società a sua volta riconducibile al gruppo Impreme Spa della famiglia Mezzaroma.
Genoa, brand e ramo d’azienda. Come anticipato dal quotidiano Milano Finanza, il Consiglio di amministrazione del Genoa Cfc ha approvato il 27 dicembre 2013 un'operazione di spin-off dalla società di calcio ad una Newco denominata “Genoa Image Store Museum & Marketing” del ramo d’azienda relativo all’area commerciale legata allo sfruttamento del Brand Genoa con riferimento alle sponsorizzazioni, al marketing, alla pubblicità e al merchandising. Genoa Image Srl, partecipata dall’unico socio (Genoa Cfc), avrà come oggetto sociale lo sviluppo e la commercializzazione del brand del club più antico d'Italia. Il valore del ramo d’azienda conferito nella nuova società è stato stimato in 23,4 milioni. Quindi in questo caso non si è avuta una cessione più riaffitto del marchio secondo lo schema tradizionale, ma un conferimento del ramo d’azienda in una nuova società che fa capo al Genoa. Questo significa che i benefici contabili dell’operazione relativi alla plusvalenza realizzata non si vedranno (o non dovrebbero vedersi) nel conto economico, bensì nello stato patrimoniale: all’attivo avremo l’emersione di una partecipazione di 23,4 milioni che andrà a rafforzare il patrimonio netto qualosa sia minacciato da eventuali perdite di esercizio e al passivo una riserva di analoga entità. In questo modo, peraltro, fiscalmente si tratta di un’operazione neutrale su cui non andranno versate imposte.

logo_prova[1]_mod.gif



Lo stile bianconero inalterato nel tempo - da Un Cuore Grande Così il 10/02/2014 @ 13:45

Tratto dal famoso libro "Il Maledetto United" di David Peace sul grande Brian Clough.
"… Mezz’ora prima del calcio d’inizio Peter (il fidato collaboratore di Clough, ndr) irrompe nello spogliatoio rosso in faccia gridando: “Haller, la loro riserva, è di nuovo nello spogliatoio di quel cazzo di arbitro. L’ho appena visto entrare. E’ già la seconda volta, e parlano in fottuto crucco”.
“Lascia perdere” – gli dico – potrebbe essere qualsiasi cosa”.
“Col cazzo – grida Pete – Haller è un tedesco di merda e lo è anche quel cazzo di arbitro, Schulenberg. Non è giusto. Te lo dico lo, stanno tramando qualcosa”.
“Lascia perdere – gli dico un’altra volta – pensiamo alla partita e al gioco”.
Semifinale di andata della Coppa dei campioni, 11 aprile 1973. Lo stadio Comunale, le bandiere bianconere di 72.000 tifosi della Juventus, la Vecchia Signora in persona, in bianco e nero: Zoff, Spinosi, Marchetti, Furino, Morini, Salvadore, Causio, Cuccureddu, Anastasi, Capello e Altafini.
“Sporchi, sporchi bastardi” sta dicendo Pete. Lo sta dicendo prima ancora che ci sediamo in panchina, prima ancora che si sia giocato un solo pallone. Per i primi 20 minuti incassiamo le entrate in ritardo, le magliette tirate, le astuzie di ogni genere. Non fanno che buttarsi a terra sotto gli occhi dell’arbitro, cazzo. Le ostruzioni, gli sgambetti, le trattenute. “Sporchi simulatori, truffatori, bastardi italiani del cazzo”. Poi Furino mette un gomito in faccia a Gemmil. Archie reagisce, appena leggermente, ed ecco che Gemmil finisce sul taccuino dell’arbitro. “Vaffanculo, arbitro! – urla Pete – e quello stronzo di Furino?”. Roy Mc Farland salta per contendere un pallone alto a Cuccureddu. Le teste di Mc Farland e Cuccureddu si scontrano. Mc Farland, il nostro capitano, viene ammonito. “Per cosa? Per cosa, cazzo? Per un cazzo di niente. Niente!”. Gemmil ammonito. Per niente. Mc Farland ammonito. Per niente. Da quel culo rotto del loro amico arbitro crucco del cazzo. Con Gemmil e Mc Farland diffidati nel turno precedente, questa è proprio la cosa che volevi evitare. Adesso i due nostri uomini più importanti saranno squalificati per il ritorno, proprio la cosa che volevi evitare. “E loro lo sapevano, lo sapevano eccome, cazzo!”. Pete aveva visto giusto. Altafini porta la Juve in vantaggio, ma poi pareggia Hector. 1 a 1 !!!!!! Salvadore e Morini battuti, Zoff con il culo per terra, e lo stadio Comunale ammutolito, le bandiere bianconere afflosciate. Si va all’intervallo.
Haller, la riserva, si alza dalla loro panchina e scende nel tunnel assieme a Schulenberg, l’arbitro. “Guarda là – dice Pete – si può essere sfacciati così?”. E poi corre giù dal tunnel dietro di loro. “Scusatemi signori – grida – io parlo tedesco. Vi dispiace se ascolto?”. Ma Haller inizia a colpire Pete nelle costole, chiamando a gran voce gli addetti alla sicurezza, che spingono Pete contro il muro del tunnel e lo tengono fermo lì. Io non posso intervenire, cerco di fare in modo che la squadra non sia coinvolta nel parapiglia, entro con i giocatori nello spogliatoio, è qui che mi guadagno da vivere. “Questa è gente da terza divisione – dico alla squadra – basta che manteniate la calma”. Ma è qui che le cose vanno storte, pensando a Pete contro il muro. Pete immobilizzato, Pete che ha perso la calma. Difendersi sull’1 a 1? Attaccare sull’1 a 1? Ma il Derby County non si difende ne attacca. Hanno tutti perso la calma. Fino a quando Roger Davies esplode e dà una testata a Morini. Espulso. Segnano Causio e Altafini, finisce 3 a 1 per loro, ed ecco le loro bandiere sventolare. Bianconere. Fottutamente bianconere.
I truffatori non dovrebbero vincere mai.
“Maledetti bastardi truffatori” – grido ai loro giornalisti – non parlo con dei bastardi truffatori!”. Ma ormai è tardi sei fuori dalla coppa. Odi la Juventus. Odi la Vecchia Fottuta Signora di Torino. La Puttana d’Europa. Ricorderai il suo fetore, il suo tanfo, lo ricorderò per il resto dei tuoi giorni. Il fetore della corruzione, il tanfo del marciume. La fine di ogni bene, l’inizio di ogni male. Non ti consola che la Juve venga poi battuta 1 a 0 dall’Ajax nella finale di Belgrado. Non ti consola che l’arbitro portoghese, Francisco Lobo, racconti all’Uefa del tentativo di corromperlo, dell’offerta di 5000 dollari e una Fiat che ha ricevuto per farli vincere la partita di ritorno. Non ti consola che cinque anni fa perdevate in casa contro l’Hull City davanti a 15.000 persone, sedicesimi in seconda divisione. Non ti consola un cazzo di niente. Non può esserci consolazione. La Juventus vi ha steso e derubato, la Vecchia Puttana vi ha sottratto con l’imbroglio al vostro destino, la Coppa dei campioni. Questi episodi saranno sempre con te, non ti lasceranno mai. Ancora ti perseguitano e ti braccano, e ti braccheranno per sempre. La fine di ogni bene, l’inizio di ogni male. Torino, Italia, aprile 1973 ”

Sotto, le immagini dei goals dell'andata e le principali azioni del ritorno terminato 0-0



Un bambino non è mai "scarso"! - da Un Cuore Grande Così il 28/01/2014 @ 17:39

Lettera alla mamma di un bambino "scarso" che vuole smettere di giocare (da: realvirtus.it)
Passaggio di Bettonia (PG) - Il settore giovanile della Real Virtus è una realtà del calcio dilettantistico locale in piena crescita, con più di 70 iscritti, dai Piccoli Amici ai Giovanissimi. L'obiettivo della società è quello di essere un importante veicolo di aggregazione per i bambini, per i ragazzi del posto, che possano imparare i valori dello sport e della vita, prima che dei bravi calciatori, con i quali costruire la Prima squadra del futuro.
Recentemente ci è successo che uno dei nostri bambini ha deciso di abbandonare l'attività agonistica. Uno dei nostri tecnici, che lo ha allenato nel corso della scorsa stagione, Andrea Checcarelli ha deciso di scrivere una lettera alla madre, per convincerlo a non mollare. La società, di comune accordo con tecnico e genitore, ha deciso di rendere pubblica questa lettera, proprio perchè in essa riconosce la propria filosofia di lavoro e i suoi valori di riferimento, nei quali crede e attraverso i quali vive la quotidianità degli allenamenti e delle partite.

"Salve signora! Per me che ho allenato un anno suo figlio, sapere che è sua intenzione quella di interrompere l'attività, è un piccolo-grande fallimento da allenatore. Un fallimento non solo come tecnico,ma anche come persona, indipendentemente da quelle che sono le problematiche singole del bambino, della famiglia. Non essere riuscito a coinvolgerlo a pieno, a stimolarlo, ad integrarlo al meglio all'interno della squadra, a fargli migliorare quei limiti quel tanto che sarebbe bastato, a farlo considerare "più bravo" da se stesso, ma anche da sua madre..
Volevo comunque dirle che suo figlio non sarà stato il migliore fisicamente, tecnicamente, tatticamente..... ma eccelleva, era il più bravo, per la sua attenzione, per l'applicazione delle direttive dategli. Per il rispetto che ha sempre dimostrato nei miei confronti, durante gli allenamenti ed alle partite. In questo era il migliore. E' sicuramente il migliore, basta farlo continuare a giocare, se è quello che lui vuole! Con tutte queste qualità umane, si può migliorare tantissimo, lavorando per colmare i suoi limiti.
Glielo dice uno che, una volta, non aveva spazio a Passaggio di Bettona, nella squadra dei suoi amici e coetanei. A 14 anni stavo per smettere, andai a giocare in un altro ambiente, a Cannara, e trovai il modo di esprimere al meglio quello che avevo dentro. Di migliorare, di vincere tante partite, tante quante ne avevo perse a Passaggio quando, oltretutto, non venivo molto considerato dall'ambiente e dall'allenatore. A Passaggio di Bettona ci sono tornato a 20 anni, dopo aver vinto anche un campionato juniores nazionale per squadre dilettanti, con il Cannara. Ci sono tornato, perché m'hanno cercato loro (evidentemente qualcuno non mi aveva considerato quanto meritavo in passato) ed ho giocato e vinto tanto. Ho vinto anche un campionato anche a Passaggio, prima di infortunarmi e di smettere di giocare qualche anno fa ma smettere di giocare è una delle poche cose che cambierei del mio passato, glielo assicuro! Anche perché nel calcio sono riuscito a dimostrare me stesso che con la passione ed il lavoro si possono ottenere grandi soddisfazioni personali, senza sotterfugi di sorta, in maniera pulita. Solo facendosi "un culo così", insomma.
Aggiungo che le qualità che ha suo figlio, non sono assolutamente secondarie all'interno di un contesto di gruppo. Così come è giusto cercare di educare, punire, ma non emarginare, un bambino dotato tecnicamente,ma maleducato, è altrettanto giusto permettere a che è dotato di altre qualità, e meno di altre, di potersi comunque esprimere. Oltretutto in un contesto come la Real Virtus. Una società che offre un servizio alle famiglie ed ai bambini del posto, più per funzione sociale, che per spirito competitivo, di vittoria, di primato. E' bello vedere che gli amici del paese, possano avere un luogo di ritrovo, per la propria crescita, visto che il nostro paese non ne offre di tantissimi.
Le qualità di suo figlio, sia nella vita settimanale del gruppo, che nella domenica di gara, sono molto importanti per la squadra. Anche per raggiungere quei risultati che, ogni tanto, fanno bene al gruppo stesso. Perchè suo figlio, sopratutto grazie a voi genitori è un bambino che è contento di giocare anche solo 5 minuti. Si impegna, col sorriso. Fa un po' da contraltare rispetto a chi, dotato tecnicamente, gode della fiducia del mister, a volte, non meritandosela. E gioca magari controvoglia. Non so se c'era quando fece gol; io mi ricordo bene. È stato molto bello, vederlo esultare. Una scena quasi da film.... chi l'avrebbe mai detto? Forse neanch'io, di certo.... però il calcio è anche questo. Se ha avuto quella piccola gioia, se l'e' sudata tutta, suo figlio. Per questo è più bella! Non lo privi di quei 5 minuti se per lui sono importanti.
Alla squadra mancherebbe anche un genitore come te. In un contesto dove tutti gli animi sono esagitati, c'è maleducazione, esasperazione, persone che credono di essere mamma e papà di Messi, Maradona e Van Basten, la sua voce fuori dal coro ed il suo profilo basso, sono un esempio per gli altri genitori. Ma forse, mi permetta di dirglielo, è un po' troppo fuori dal coro. Talmente tanto che finisce per uniformarsi al coro stesso... se lascia perché suo figlio "è scarso" diventa come quelli che credono di avere il figlio "forte" e sbraitano da fuori alla rete, peggio dei cani randagi, pretendendo spazio e importanza. E questa fine non se la meriterebbe, non la rappresenterebbe.
Nel calcio ci vorrebbero più bambini come suo figlio e più genitori come lei. Pensaci e pensateci, anzi: ripensateci!"

bimbo3.jpg



Sotto una lanterna africana - La fine di un sogno - da Un Cuore Grande Così il 09/01/2014 @ 15:11

Tutte le cose belle finiscono e anche in Kenya si chiude un ciclo. La Scuola Calcio rossoblu cessa la sua attività sociale a Malindi, dopo aver portato 16 ragazzini su 22 alle scuole superiori, grazie al grande stimolo di allenarsi e giocare nella “Karibuni-Genoa”, la squadra di under 15 voluta da me, Freddie del Curatolo, dalla Onlus Karibuni e sostenuta dal Genoa Cfc 1893e dai suoi tifosi.
Nel 2009 Freddie ha selezionato bambini di 10 anni, prendendoli da situazioni al limite della sopravvivenza nei quartieri poveri e degradati della cittadina keniota. Alcuni senza i genitori, altri figli di carcerati e prostitute, altri ancora costretti a dormire in baracche di fango e lamiera senza un letto che non fosse pagliericcio e consumando un pasto al giorno a base di polenta e spinaci.
Insegnando a questi ragazzi che con la volontà e l’applicazione, e un aiuto da chi non ha altri interessi che il miglioramento delle loro condizioni, in quattro anni la Karibuni-Genoa è riuscita a trasferire due piccoli talenti, Eugene Moses e Baraka Badi, nel college di una squadra keniota di Serie A, il Thika United. Altri quattro ragazzi sono approdati alla prima classe delle superiori, con ottimi voti, già l’anno scorso e quest’anno altri dieci li seguiranno. Molti di loro hanno già abbandonato l’attività sportiva, ma sono concentrati sull’obbiettivo che potrà cambiare per sempre la loro vita e quella delle loro famiglie.
La scuola calcio, che richiederebbe troppe risorse per continuare la sua attività, chiude i battenti, ma insieme con Karibuni Onlus, con un contributo annuale della società Genoa Cfc 1893 e con le donazioni di Grifoni in Rete, Volley VGP Genoa e alcuni privati, continueremo a pagare le rette scolastiche a questi ragazzi, che non solo costituiscono un piccolissimo ma significativo esempio di speranza nel futuro per tanti loro coetanei, ma porteranno sempre i colori rossoblu nel cuore. Grazie a tutti quelli che hanno alimentato questo sogno, ci hanno aiutato e continueranno a farlo.
Freddie del Curatolo

La fine di un sogno.
Al di là dei freddi comunicati, per quanto sereni possano essere, vorrei lasciarvi quest’ultima considerazione, mentre gli occhi non smettono di bruciare, come la terra d’Africa sotto il sole cocente di questi giorni di gennaio.
Quando tutto si realizzò, iniziai a credere talmente forte che mi uscivano le lacrime.
Credevo che con la forza di volontà, anche in una terra difficile e devastata dalla grettezza umana come l’Africa, si potessero avverare piccoli ma significativi (e utili!) miracoli.
Avevo selezionato un gruppetto di bambini di dieci anni, di cui i più fortunati avevano entrambi i genitori in salute, dormivano su un materasso e mangiavano due volte al giorno.
Ma i fortunati erano 3 su 22. Gli altri erano orfani, figli di prostitute, fratelli di spacciatori, primogeniti di padri in galera con sei o sette fratellini venuti al mondo come gazzelle e non ancora sbranati dalla miseria, dalle malattie e dalla cruda realtà dello slum.
Un sogno si avverava per me e per loro: poter aiutare questi ragazzi ad uscire da una condizione che alla gente di qua, avvolta in un fatalismo ancestrale e terribilmente protettivo, pare inevitabile.
Dimostrare a tutti che c’è una via d’uscita, attraverso lo studio e l’applicazione, e fare gruppo.
Mi serviva un’associazione seria, una Onlus che non fosse di quelle che lucrano sul mantenere la povertà nel terzo mondo, mi serviva uno sponsor sportivo.
Che poi fosse addirittura la squadra per cui ho la “passionaccia”, era un sogno nel sogno.
Siamo partiti, nel 2009. Tante speranze, moltissime difficoltà.
Un allenatore ciclista ma serio come pochi ad aiutarmi, due assistenti come nuovi padri di famiglia.
Un gruppo unito che si allenava tre giorni a settimana quasi dovesse partecipare alla Champions League.
In realtà avevano capito che in palio c’era molto di più.
Dopo quattro anni di gioie, lezioni, giornate di festa, esami, esempi, tornei, improvvisati derby, merende, trasferte, sorprese, defezioni, promesse mancate, piedi nudi, bastoni tra le ruote e ruote della fortuna inceppate e poi ripartite, eccoci arrivati al capolinea.
Come una barca a cui abbiamo evitato la deriva, ci siamo spiaggiati in abbrivio residuo riuscendo a portare in quattro anni alle scuole superiori 16 ragazzini, e altri 2 sono già da un anno nel college di una delle più importanti squadre della Serie A keniota.
A Malindi, alla Secondary School, ci sono anche Mystick Reuben e Joseph Nyabawe, che ha avuto voti talmente alti che mi ha chiesto di essere trasferito in una scuola superiore migliore.
“Tu sei un Grifone in Rete – gli ho detto – a te nessun traguardo è vietato”.
E soprattutto, per te non ci sarà mai un capolinea, ne sono sicuro.

sof_header.jpg



No alla cauzione - da Un Cuore Grande Così il 08/01/2014 @ 17:04

"Niente soldi ai polacchi, restiamo in carcere" (da: sslaziofans.it).
“Neanche un euro di cauzione ai polacchi, restiamo in carcere fino al 28 gennaio”. Discorso chiuso. Da Varsavia arriva come una frustata la decisione di Alberto Corsino, Matteo Buttinelli e Daniele De Paolis, i 3 ragazzi laziali ancora detenuti nel carcere di Bialoleka, annunciata su un quotidiano romano dal loro avvocato, Roberto Privitera. Il danno è fatto, la ferita è ancora aperta e profonda, da qui la decisione di mettere la parola fine, di non aggiungere un danno (economico per le famiglie) alla beffa già subita in questa vicenda a dir poco paradossale.
Giovedì, a Varsavia è in programma l’udienza in tribunale per discutere l’istanza di scarcerazione dietro pagamento di una cauzione presentata dal legale dei 3 ragazzi ancora detenuti, ma nei giorni successivi Alberto, Matteo e Daniele hanno maturato la decisione di compiere questo gesto di protesta clamoroso. Con oggi sono 42 giorni che quei ragazzi sono rinchiusi nel carcere di Bialoleka, accusati di “adunata sediziosa” e condannati in un processo che a detta di tutti i presenti si è rivelato una vera e propria farsa, addirittura superiore a quella che aveva portato a quasi 200 arresti in presenza del nulla: nessuno scontro, nessun ferito in quella gelida serata di novembre in cui la Polizia di Varsavia, su ordine di chissà chi, ha compiuto quella retata, portando in carcere tanti ragazzi, ma anche donne e padri di famiglia che avevano il solo torto di essersi trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Abbiamo tutti impressi nella memoria i racconti di quei giorni di follia, dei verbali fatti firmare senza tradurre quello che c’era scritto, delle accuse di disturbo alla quiete pubblica o di intralcio al traffico che in Italia spesso non vengono sanzionati neanche con una multa ma che a Varsavia a qualcuno sono costati giorni di carcere e una ferita che non si rimarginerà mai. Il tutto, l’incapacità di agire o la mancanza di volontà (e di peso politico) del governo italiano e della Comunità Europea di fare pressioni sul governo polacco. Solo qualche nota ufficiale, un paio di visite quasi per chiedere clemenza, ma nulla più.
Davanti a tutto questo, con 42 giorni di carcere sulle spalle e la possibilità di uscire comunque il 28 gennaio (giorno in cui scadono i termini della custodia cautelare), i 3 ragazzi hanno deciso di compiere un gesto clamoroso che è un atto di accusa verso tutto il sistema. Alberto Corsino ha già rinunciato ufficialmente al ricorso, Matteo Buttinelli e Daniele De Paolis no, ma il loro avvocato ha annunciato che, anche in caso di accoglimento dell’istanza, rinunceranno ad uscire in cambio del pagamento di 7200 euro di cauzione. E resteranno a Bialoleka fino al 28 gennaio.
Indipendentemente dall’idea che si è fatto ciascuno di noi su questa vicenda, il gesto di questi ragazzi non può lasciare indifferenti. Perché a Varsavia è successo un qualcosa che non si vede dai tempi in cui il muro di Berlino era ancora in piedi e bello solido, lì a separare l’Europa dal mondo dell’Est, quello in cui il termine “libertà” in molti casi era solo un termine scritto su un vocabolario, un concetto astratto, in alcuni casi un sogno. Quel sogno che portava tanti a rischiare la vita per scavalcare quel muro alla ricerca della libertà. Il gesto di questi ragazzi deve far riflettere e deve far vergognare chi ha assistito impotente a questo scempio, a questa sospensione dei diritti civili e a questa negazione assoluta della libertà che si è consumata quella sera del 28 novembre a Varsavia. Per questo motivo, indipendentemente da tutto, Alberto, Matteo e Daniele meritano un abbraccio e un applauso. Non sono eroi, ma sono uomini che hanno deciso di non accettare l’ennesimo ricatto, di pagare fino in fondo anche colpe che non hanno commesso pur di non piegarsi ad un sistema assurdo, marcio. E per questo, meritano il mio personale rispetto e quello di chiunque, avendo una coscienza, in cuor suo sa che quello che hanno vissuto quei 3 ragazzi (e con loro tutti quelli finiti in carcere quel 28 novembre) sarebbe potuto succedere a chiunque di noi.

soldier-yawning-perfect-timing.jpg



L'assassinio di Paul Breitner - da Un Cuore Grande Così il 29/12/2013 @ 19:02

UCCIDI PAUL BREITNER - un dialogo sovversivo (da: lacrimediborghetti.com)
Dortmund, 24 settembre 1978, un gruppo di 3 unità della Rote Armee Fraktion si sta allenando in un poligono di tiro clandestino poco fuori dalla città. Saranno sorpresi dalla polizia e uno di loro resterà a terra ucciso. Questo è l’ultimo dialogo tra due di loro, Angelika Speitel e Michael Knoll, mentre il terzo, Werner Lotze, si era allontanato per una ricognizione.

breitner1.jpg

Angelika: Ma è sicuro qui?
Michael: Sicurissimo, chi cazzo vuoi che venga a cercarci a Lüttringshausen, è un posto dimenticato da dio e dagli uomini.
A: Dagli uomini sicuramente, come la Germania. Che paese di merda… Qui a furia di voler rimuovere la propria storia, il proprio passato, hanno addirittura preferito dimenticare di esser uomini… Che schifo.
M: E’ proprio contro il rimosso che combattiamo, siamo l’avanguardia della memoria, pronti con tutti i mezzi a infilarci nel cuore e nel cervello di questo fottuto paese nazista.
A: Già, siamo lo specchio di Alice, davanti a cui i padroni e i borghesi di questa terra vedranno finalmente riflessa la loro vera immagine di gerarchi nazisti.
M: Per questo il mese scorso abbiamo rapito Hanns Martin Schleyer, fottuto esempio di come un bastardo carnefice delle SS si sia riciclato a capo della Confindustria tedesca.
A: Eh, siamo stati bravi… Ma avremmo dovuto prendere Breitner…
M: Paul Breitner, il calciatore?
A: Proprio lui, quel borghese finto rivoluzionario del cazzo.
M: Solo perché l’anno scorso è tornato in Germania a giocare con l’Eintracht Braunschweig, e chiaramente l’ha fatto solo per soldi? Perché si è fatto sponsorizzare da un’azienda di tabacco? Dai cristo, le sigarette le fumiamo tutti… Anzi, facciamo una pausa?
A: Si, aspetta un attimo che ricarico il ferro… Ecco, mica male, sei su sei a segno e tre centri, mi sento Clint Eastwood in Per un pugno di dollari.
M: Gian Maria Volonté piuttosto, che è un compagno.
A: Sì, Volonté, hai ragione… Comunque su Breitner, volevo dire…
M: Oh, senti, non mi toccare Breitner… Non mi frega niente che abbia fatto vincere alla Germania l’Europeo del 1972 o il Mondiale del 1974, segnando pure un gol, che ovviamente io non tifo per una nazionale che rappresenta un paese liberticida e assassino che affama il suo popolo. E’ che però Breitner è proprio un gran cazzo di giocatore, terzino, centrocampista attaccante: dove lo metti, gioca da dio.
A: E ha fatto vincere tutto anche al Bayern di Monaco, scudetti, la Coppa dei Campioni.. Al Bayern, capisci? La squadra dei padroni e del capitale... Senti... Non starò qui a farti una menata sul calcio come oppio dei popoli, che pure a me il calcio piace e anzi, potrebbe pure diventare una narrazione rivoluzionaria se non fosse in mano a una manica di pipparoli... Quello che mi disturba di Breitner è proprio il suo atteggiarsi a compagno quando è un lurido stronzo.
M: Dici la foto con Mao? Le storie che lui si presenta agli allenamenti con il libretto rosso, che dice di aver letto Lenin e fatto il ’68?
A: Appunto, che siccome gioca all’estrema sinistra l’estetica pop gli ha cucito addosso l’immagine di uomo di estrema sinistra. La banalità del male proprio. Che poi, e questo è il punto, non gliel’hanno mica cucita addosso, se l’è fatta fare lui dai migliori sarti di Monaco, e a caro prezzo.
M: Che sia un uomo falso non ci sono dubbi, è pure andato a giocare e a vincere per tre anni al Real Madrid, la squadra di Franco, dei fascistissimi Ultras Sur, come cazzo lo concili con il tuo essere maoista questo?
A: Si ma…
M: E poi a fine campionato, nel 1974, diceva che i soldi sono la rovina dell’uomo, e due mesi dopo, prima dei Mondiali, diceva che se in federazione non aumentavano il premio vittoria lui se ne tornava a casa e non avrebbe più giocato con la nazionale.
A: E sta zitto un po’, ho capito che quando si parla di calcio a voi maschietti vi parte subito il testosterone, ma stavo dicendo tutt’altra cosa…
M: …
A: Se la smetti di fare l’Helmut Schön della situazione, che in questo paese di merda siete tutti allenatori, dicevo, a me di Paul Breitner dà fastidio altro. Quello che odio è proprio il suo aver trasformato la controcultura in un modo di atteggiarsi, la rivoluzione in una parola da lasciar cadere in una cena elegante per far provare un brivido agli astanti e attempati signori borghesi.
M: Beh, ma dai, non è certo l’unico lui.
A: Certo, noi stessi stiamo scadendo nel ridicolo. Questa seconda generazione della Rote Armee Fraktion rischia di essere la brutta presa per il culo della prima. Già il fatto che a organizzare lo scorso anno il rapimento e l’esecuzione del banchiere Jürgen Ponto sia stata la sua figlioccia, ti dice molto sulla composizione rivoluzionaria del gruppo. Siamo diventati un gruppetto di borghesi che giocano alla guerra, non oso immaginare che farsa carnevalesca possa mai diventare un’eventuale terza generazione…
M: Ehi, ci credo che siamo la seconda generazione, la prima l’hanno sterminata… Guarda la povera Ulrike, ammazzata in cella come una cagna dopo averla condannata con prove false e averla tenuta in isolamento e in deprivazione sensoriale per anni.
A: Si certo le guardie del capitale sono sempre all’attacco, ma questo non giustifica essere diventati un gruppetto di figli di industriali che giocano a fare la guerra con i loro padri e le loro madri… Che consultassero un cazzo di psichiatra invece di arruolarsi con noi... In questo Breitner è l’esempio: lui è come noi oggi. Il comunista da esposizione nella galleria d’avanguardia pop, il finto rivoluzionario che passerà alla storia come tale, e screditerà quanto di buono fatto dagli altri.
M: Capisco cosa vuoi dire. Guarda Paolo Sollier, lui mica va giocare nella squadra di Mussolini o in quella degli Agnelli, non appare sui cartelloni pubblicitari né si atteggia sotto i poster di Mao, lui fa il calciatore perché gli piace giocare a calcio, perché è un mestiere, e perché attraverso il gioco tu puoi diffondere gli ideali rivoluzionari, e non al contrario ridurre la rivoluzione a un gioco.
A: Non mi stupirei infatti se tra qualche anno, magari al prossimo Mondiale, quando a Breitner un’azienda di dopobarba proponesse di rasarsi la barba e i basettoni in cambio di un mucchio di quattrini, lui dovesse accettare. E quando la rivolta è solo nei tuoi vestiti, quando sei nudo ti riveli per quel conservatore di merda che sei.
M: Quindi dici che dovremmo rapire Breitner, come esempio di giocatore controrivoluzionario?
A: Sarebbe il più bel messaggio possibile per sottrarre il calcio dal giogo capitalista e liberarlo nel suo potenziale rivoluzionario.
A: Merda la polizia..
M: Oh cazzo, spara, spara!
A: Giù la testa!
M: Cazzo, come cazzo ci hanno trovato!
A: Non lo so, qualcuno se l’è cantata. Sbirri bastardi, spara, spara, sparaaaaa…
M: Cazzo Angelika mi hanno preso… Mi hanno preso..
A: Michaaaaaael!
M: Scappa, Angelika ammazzali tutti e scappa, cazzo.
A: Michael no ti prego... Michael resisti... Non andartene ti prego, cazzo Michael... Non andar-te-ne…
M: N-non ce la faccio…
A: Michael…
M: Angelika, non ce la faccio… Salvati, e fammi l'ultimo favore… Uccidi Paul Breitner…

breitner.jpg



Everton, Liverpool - da Un Cuore Grande Così il 23/11/2013 @ 16:23

Everton-Liverpool, il derby dei Beatles. Everton o Liverpool? A George non gliene fregava granché. “A Liverpool ci sono tre squadre, io tifo per l’altra”. La terza erano loro. I Beatles (da: repubblica.it).
Harrison amava le automobili e la Formula uno, al calcio semmai era più legato John. Il suo papà era stato tifoso dei Reds, lui da ragazzino – a 11 anni – aveva disegnato su un foglio un’azione della finale di Coppa d’Inghilterra fra Arsenal e Newcastle (1952), per farne anni dopo la copertina di Walls & Bridges. Era un omaggio a Jackie Milburn, pare, il Wor Jackie con il nove in bianconero dietro la schiena. Nove, numero cui Lennon finì per legarsi, come si deduce dalle canzoni Revolution 9, The One After 909 e #9 Dream. Alla mitologia pallonara di Anfield, John si rivolse quando inserì il nome del grande manager Matt Busby in Dig it, una cantilena sulla lettera B. Così come pare fosse stata sua l’idea di ritrarre sulla copertina dell’album Sgt. Pepper il volto di Albert Stubbins, centravanti del Liverpool fine anni 40-inizio anni ‘50, piazzato fra Marlene Dietrich e Lewis Carroll. Gli piaceva il nome, si disse così.
La ricostruzione del tifo dei Beatles è uno zigzag fra le incertezze. Si raccontava che fosse del Liverpool anche Ringo Starr, non tanto per testimonianze dirette sulla sua fede calcistica, anzi, ci sono sospetti che eventualmente lo spingono verso l’Arsenal; quanto perché i suoi figli hanno poi avuto una tessera ad Anfield Road. Infine Paul, altro bel dilemma. Era in tribuna a Wembley per la finale di Coppa d’Inghilterra del ‘68, l’Everton in campo, battuto dal West Bromwich Albion. I suoi in famiglia erano schierati. Ma anni dopo, quando in Europa dominava il Liverpool, Linda si fece sfuggire che a casa facevano il tifo per i Reds davanti alla tv bevendo vino. Circostanza questa che a pensarci bene potrebbe rafforzare la tesi dei complottisti, il vero Paul è morto, la sua vita è vissuta da un sosia, eccetera eccetera. D’altra parte, Paul ci mette del suo per confonderci le idee. Quando Rafa Benítez portò il Liverpool di nuovo fino in fondo, McCartney diede un’intervista a Radio Merseyside: “È vero che tifo Everton, ma ho la dispensa papale. Della questione cattolici-protestanti non me ne importa niente e ho appena conosciuto Dalglish, perciò se il Liverpool va in finale di Champions io tifo per la squadra della mia città”. Non proprio un’uscita da evertonian puro, ecco.
Si è sbilanciato nel tempo il solo Pete Best, batterista prima dell’arrivo di Ringo. Quattro anni fa raccontò in un’intervista che John era il più appassionato di tutti nel giocare a calcio durante le pause delle prove. E ammise: “A me, fin da bambino, dissero che la mia squadra doveva essere quella vestita di blu”. L’Everton. Fine della storia.
Di più non si sa. Inutile chiedersi veramente chi stava di qua e chi di là, oggi che Everton e Liverpool tornano ad affrontarsi in campionato. Il solo che abbia davvero vinto il derby in città, a questo punto resta Brian Epstein, il manager che ai quattro impose di non parlare mai di calcio in pubblico. Per non dividere i fan. Un genio. E noi qui, ancora oggi, a chiederci per chi facessero il tifo i Beatles.

Sotto, il disegno di Lennon del 1952

liverpool-everton.jpg


InizioPrecedente10 pagine precedenti [ 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 ] 7 pagine seguentiSuccessivoFine

Bastano pochi click!

per contribuire clicca qui


 1960717 visitatori

 5 visitatori online




^ Torna in alto ^