Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che fra gli effetti collaterali del fatto di avere Internet ormai a portata di smartphone c'è un vero e proprio boom nell'uso di siti porno da parte dei giovani. A 'certificarlo' è stato uno studio dell'università di Padova e pubblicato dall'International Journal of Adolescent medicine and Health, secondo cui quasi otto giovani tra 18 e 20 anni su 10 frequentano questi siti, con l'8% che lo fa anche più volte al giorno, una cifra doppia rispetto al 2004. ''Il giovane di adesso impara a usare le tecnologie già da piccolo - spiega Carlo Foresta, che ha coordinato lo studio - questa maggiore disponibilità di mezzi, unità anche all'offerta di siti aumentata, ha fatto sì che i fruitori abituali siano raddoppiati in un lasso di tempo relativamente breve''. Secondo lo studio il 78% dei giovani è un fruitore abituale di siti porno, da qualche volta al mese (29%) a più volte a settimana (63%), ogni giorno o più volte al giorno (8%), con una permanenza nei siti di 20-30 minuti. Per alcuni, sottolinea Foresta, l'abitudine al porno virtuale si traduce in problemi poi nella sfera sessuale 'reale', con il 25% dei frequentatori assidui che lamenta qualche disfunzione, soprattutto una riduzione del desiderio ma anche un aumento delle eiaculazioni precoci. Lo studio ha tracciato l'identikit del frequentatore abituale: ''I maggiori frequentatori - spiegano i ricercatori, che discuteranno dei risultati in un dibattito organizzato dalla Fondazione Foresta il 6 maggio a Padova - sono i figli unici, con nuclei familiari impiegati in attività lavorative, pertanto con lunghi periodi di solitudine domestica. Per quanto riguarda la sessualità reale la frequenza dei collegamenti ai siti pornografici allontana significativamente dalle esperienze reali e riduce l'abitudine alla prevenzione delle malattie sessuali''. E' dalle parole, dalle news ufficiali, dagli allenamenti di questi giorni che si capirà se realmente vogliamo l'Europa, una mèta assolutamente improponibile ad inizio anno e anche a febbraio scorso, ma data una nostra certa ripresa e un rallentamento pazzesco di altre squadre (le milanesi su tutte, ma anche Viola e Doria) oggi è tecnicamente possibile: ma siamo davvero certi di volerlo tutti, in modo convinto? "Lo dico davanti ai miei calciatori e, soprattutto, ai Campioni d'Italia del Grande Torino: in queste ultime cinque gare dobbiamo riprenderci l'Europa", lo ha detto ieri il presidente del Torino, Urbano Cairo, al termine della commemorazione del Grande Torino. "È sempre un'emozione essere qui - ha detto il presidente del Toro - ma quest'anno lo è un po' di più. È stato un anno davvero molto importante, siamo stati in Europa League, abbiamo vinto il derby, abbiamo fatto tantissime cose e centrato tanti risultati. Ora dobbiamo riprenderci l'Europa. Dobbiamo farcela". E noi siamo tutti convinti di voler andare in Europa? Vedi sotto. E forza Genoa!
Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che una marea di tute colorate per lavare via lo scempio di quelle nere. Un richiamo per tutta la città, 'Nessuno tocchi Milano' porta 20.000 persone in strada a pulire. E parte il "Giuliano ripensaci", con il sindaco Piasapia in prima fila provocato da Claudi Bisio che a Pisapia dice dal palco: "Non vorrei rompere le scatole, ma Giuliano, ripensaci". Non è il solo a chiedere al sindaco di ricandidarsi nel 2016. Parte l'applauso. "Rispettiamo tutti le tue scelte private e politiche - insiste l'attore - ma questo applauso ricordatelo nei prossimi mesi". Dall'inizio della manifestazione, l'affetto dei cittadini è tutto per lui. Tanti, tantissimi i partecipanti, quanti erano i No Expo. Pulizie materiali sui muri, sulle vetrine e per le strade. E pulizie simboliche: la città dell'Expo è altro da quanto visto il Primo maggio. Tute colorate, soprattutto bianche e azzurre. Così i milanesi sfilano per le vie del centro accogliendo l'invito del sindaco al "Nessuno tocchi Milano". "Stamattina il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - racconta Pisapia aprendo il corteo - mi ha telefonato per dire a me, a voi cittadini, che è entusiasta della risposta che Milano ha dato". "Questa è la festa della Milano che si unisce e che reagisce e dice no ad ogni sopruso e violenza - aggiunge - vi ringrazio, è una piazza bellissima, siamo tantissimi a dire no a chi ha cercato di sfregiare la nostra città con la violenza. Hanno cercato di rovinarci la festa ma non ci sono riusciti. Milano nessuno la deve toccare perché Milano si ribella". Circa due ore dopo, in piazza 24 maggio, il sindaco dice: "Siamo in 20.000"... Il corteo, con tantissimi bambini, è partito da piazzale Cadorna e ha imboccato via Carducci, ripercorrendo quindi a ritroso il percorso del black bloc che l'altro giorno hanno devastato la zona. Durante il tragitto, tra gli applausi di molte persone sul marciapiede o affacciate alle finestre, vengono ripulite le scritte dai muri e viene rimesso in ordine quanto lasciato ancora da sistemare. In testa al corteo il sindaco Giuliano Pisapia con la fascia tricolore oltre a molti altri amministratori. Per Roberto Vecchioni "oggi è una delle giornate più commoventi della mia via". Alla luce dei risultati di questa giornata, la sconfitta della Doria e il deludente pareggio dell'Inter, la prossima partita Genoa-Torino è decisiva, due squadre in salute che si giocano l'Europa... augurandoci che Borriello sia pronto almeno per le ultime 4 partite di campionato, in un certo senso è forse possibile dire che sarà la nostra partita più importante degli ultimi 3 anni. Si giocherà di lunedì sera, uno scempio. Ma proprio per questo, io metterei tutti i biglietti a 3 euro, in ogni settore. Sotto, la Gradinata Nord anni '70 festeggia il ritorno in serie A. E forza Genoa!
Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che "Le emozioni sono tutto quello che abbiamo", con queste parole di Mick (Harvey Keitel) dette all'amico e coetaneo Fred (Michael Caine) si chiude il trailer ufficiale di 'Youth - La giovinezza', film di Paolo Sorrentino in corsa per l'Italia al Festival di Cannes. Dopo le pochissime parole e le molte immagini del teaser, arrivano finalmente suggestioni e, appunto, le 'emozioni' di due ottantenni che si confrontano con l'indecenza inaccettabile della vecchiaia. Entrambi spiaggiati in un hotel di lusso sulle Alpi, consumano i giorni tra inutili cure ringiovanenti, ricordi e problemi di salute. Il tutto per allungare il futuro o inseguire goffamente il passato della giovinezza. "Hai pisciato oggi?" chiede Mick a Fred. "Poche gocce" risponde Fred. E Mick replica timido: "Io anche meno". Insomma i loro problemi sono lontani da quei corpi giovani e tonici che li circondano. Per loro, invece, tanti ricordi: Fred, ex direttore d'orchestra, spiega al nipote che quella musica in sottofondo che sta ascoltando l'ha composta proprio lui, mentre il nipote adolescente gli dice di aver letto su Wikipedia che "da giovane aveva frequentato Stravinskij". In realtà a Fred manca la moglie, anche se la figlia (Rachel Weisz) conosce verità difficili da accettare. "Non hai saputo niente di mia madre - dice -. Ti amava e ti perdonava. Qualunque cosa accadesse voleva stare con te. Ma chi eri tu?". Il tutto sulle note tristi di 'Ceiling Gazing' di Mark Kozelek e Jimmy Lavalle. Il film, in anteprima mondiale sulla Croisette il 20 maggio e in sala dal 21 maggio con Medusa, è una coproduzione Italia-Francia-Regno Unito-Svizzera. Ho sentito la nuova intervista del ragazzo che il giorno prima aveva confusamente detto che è stato giusto spaccare tutto a Milano, Mattia Sangermano ha vent'anni ed è uno studente di Pavia. Durante gli scontri del corteo No Expo del primo maggio, è diventato protagonista per le frasi pronunciate in tv in difesa dei violenti che hanno messo a ferro e fuoco Milano. Adesso però è pronto a chiedere scusa per le sue parole. "Mi sono accorto solo alla fine di cosa stava succedendo, non sono un violento e non romperei mai una vetrina. I miei genitori si sono incazzati moltissimo, mio padre ancora oggi è incazzatissimo, sui social network mi prendono in giro e fanno bene perchè mi sono espresso davvero male, sono pronto a dare una mano a pulire la città. Dopo il casino che ho combinato, basta manifestazioni per me. Andrò a vedere l'Expo con la mia scuola, perchè purtroppo studio ancora. E' stato un momento di emozioni, ho sbagliato, m'impegnerò a mettere a posto la città". Avevo già avuto un'impressione di questo tipo il giorno stesso, ma ieri vedendo questo video e guardando negli occhi questa persona la mia convinzione si è rafforzata, io provo tenerezza per questo ragazzotto, Mattia: penso che abbia sbagliato ma lo considero in parte innocente, metterlo in croce e farne un simbolo negativo sarebbe assurdo... i responsabili sono altrove, i professionisti dei disordini, del NO a qualsiasi cosa venga fatta, del tutti a casa, quelli che non hanno nulla da perdere e quindi vogliono vedere il male in ogni cosa. Sotto, si festeggia una delle tante promozioni di quel periodo (perchè si retrocedeva rapidamente!). E forza Genoa!
Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che una biopic visionaria, ma non troppo, dei 'dieci giorni che sconvolsero' la vita del regista Sergei Eisenstein, ovvero quei dieci giorni in Messico in cui, all'età di 33 anni, scoprì la sua omosessualità. è quello che racconta Peter Greenaway in 'Eisenstein in Messico', già passato al Festival di Berlino e in sala dal 4 giugno con Teodora. Siamo nel 1931, quando il regista de 'La Corazzata Potemkin' e 'Ottobre' al vertice della sua carriera, si trova in Messico per girare un film. Qual è il tema centrale alla base del film? Peter Greenaway: Il film è una celebrazione, è gioioso. Si tratta di un uomo che cerca di trovare la sua identità in tanti modi diversi. Era curioso della sua identità sessuale. C'erano state le prime avvisaglie quando era un adolescente: non riusciva a sentire le normali preferenze di genere come necessariamente sue. Quindi è una prova, potrei mostrarvele. Non me lo sono inventato. Anzi, ha avuto una relazione burrascosa di dieci giorni con Palomino Cañedo, poi si lasciarono. Non posso dire, naturalmente, che si lasciarono nel modo che ho rappresentato, ma credo che non esista la storia; esistono solo gli storici. Pensa che il tempo trascorso in Messico abbia cambiato Eisenstein come regista? Supponiamo che maturiamo tutti e che i nostri personaggi si sviluppino, immagino che anche i personaggi, crescendo, diventino più simili a noi. Sarebbe potuto accadere comunque. Sappiamo tutti che quando si è all'estero ci si comporta in modo diverso, si corrono rischi. E lui è in un Paese totalmente sconosciuto, a 3500 miglia di distanza da Mosca. E non ci sono russi a badare a lui per tutto il tempo, specie quelli stalinisti. Ha la possibilità di staccare; permette alla sua curiosità di espandersi a dismisura. È stato uno shock culturale incontrare persone straordinarie così diverse da lui. Penso che tutta questa libertà abbia facilitato ciò che c'era già, quindi la mia tesi è che i suoi primi tre film sono pieni di idee, ma idee sulla massa, non ci sono individui. Se si guardano gli ultimi tre film, si nota il suo interessarsi alle persone e alle relazioni; sono molto più sviluppate, più comprensibili e contemporanee. Credo che fuori dal suo Paese, dalla sua cultura, rispondendo a ciò che aveva dentro di sè, abbia cominciato a sviluppare un interesse molto maggiore negli individui, rispetto alla massa. E 'una coincidenza che questo film sia stato fatto in un momento in cui i diritti dei gay sono più in gioco che in precedenza? Questo non è un film gay; si tratta di un film su un uomo che ha avuto una storia d'amore con un altro uomo. Sarebbe estremamente ingenuo negare tutte queste associazioni. Ogni film storico riguarda tanto l' "ora"quanto l' "allora"; deve essere così. Sì, c'è un'associazione, tutta una serie di connessioni. Come potete immaginare, io non sono affatto popolare in Russia, almeno ufficialmente. Ho ricevuto un sacco di lettere di odio, ma nulla di pericoloso. Qual è stata la chiave per trovare il cast? Abbiamo avuto qualche problema: c'è un enorme quantità di filmati di Eisenstein nel mondo, e volevo usarli. Così ho dovuto trovare qualcuno che sembrasse almeno vagamente Eisenstein. Abbiamo cercato ovunque. Poi, quasi per caso, abbiamo trovato Elmer Bäck, e mi piace pensare che fosse perfetto per la parte. Oltre Eisenstein, non ha altri registi preferiti? Sono sempre stato interessato a Eisenstein, forse negli ultimi 20 anni mi sono interessato ancora di più a lui perché è stato provato e testato; ha resistito alla prova del tempo, e ciò che ha prodotto è veramente importante. Ho una serie di registi preferiti, abbiamo tutti i nostri eroi, naturalmente. Il film è pieno di citazioni. Il mio film preferito è L'Anno Scorso a Marienbad di Resnais, e nel mio film fanno il gioco di Marienbad alla fine. Un altro mio film preferito è La Regola del Gioco di Renoir, con Renoir che salta su un letto, e l'ho fatto fare ad Eisenstein nel mio film come citazione. Ci sono riferimenti a dei clown banali, che è, ovviamente, un omaggio a Fellini. Conosce quella famosa frase di John Donne, "Nessun uomo è un'isola"? Beh, io direi, "Nessun film è un'isola". Ogni film si ripete in un certo senso. La maggior parte dell'arte riguarda l'arte; non si tratta di vita, si tratta di guardare l'arte. Come si è evoluta la sua produzione? Abbiamo fatto 15 lungometraggi, ognuno con una direzione diversa. Non posso girare film sempre nello stesso modo, più e più volte, ma riguardano tutti lo stesso fenomeno: il primato dell'immagine, nozioni di alfabetizzazione visiva che ritengo significative, e l'importanza dello straniero, dell'alternativa. È molto pomposo, ma quello che voglio fare è un cinema non-narrativo, multi-schermo, al tempo presente. Arriverà, che mi piaccia o no, e che vi piaccia o no, arriverà. Riguardo agli incidenti di ieri a Milano, come Roma lo scorso anno, non mi sorprende che un ragazzo rincoglionito dica all'intervistatore che pensa sia giusto sfasciare tutto nelle proteste, o che ci sia un migliaio di minchioni che ne approfitti per spaccare bruciare distruggere qualsiasi cosa, la questione terrificante è che si sa già con largo anticipo da dove partirà il corteo, cosa succederà, come saranno conciati (tute nere, mazze, caschi, bombe carta) e le nostre FdO non riescano a neutralizzare in anticipo l'evento catastrofico, in pratica mi chiedo perchè si permetta tutto questo e come non si possibile emanare una nota che chiunque quel giorno sarà mascherato e armato, sarà arrestato a priori, anche se seduto tranquillamente su una panchina a leggere un "Le Ore" del 1982. Sotto, stagione 1988-89: 1.000 Grifoni a Bari per la risalita in serie A!
Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che sono stati scoperti i resti fossili del primo dinosauro-pipistrello: vissuto in Cina 160 milioni di anni fa, era dotato di stravaganti ali membranose che gli consentivano di compiere piccoli voli tra gli alberi alla ricerca di prede. Per questa sua inedita caratteristica anatomica, i paleontologi cinesi autori del ritrovamento lo hanno battezzato Yi qi ('strana ala', in mandarino) e su Nature lo presentano come un 'esperimento' fallito dell'evoluzione. Grande quanto un piccione e con il corpo ricoperto di piume, Yi qi appartiene ad un misterioso gruppo di piccoli dinosauri noti come scansoriopterigidi: sebbene fosse nota da tempo la loro stretta parentela con gli uccelli più primitivi (come il famoso Archaeopteryx), finora non erano state trovate prove che dimostrassero la loro capacità di spiccare il volo. Ora questa ipotesi riprende quota proprio grazie ai resti di ali membranose ritrovati nei fossili del dinosauro pipistrello. Le sue 'vele', mai osservate prima d'ora in un dinosauro, erano appese ad un lungo osso che si dipartiva dal 'polso' delle zampe anteriori: sebbene sia impossibile definire con certezza la loro forma e le dimensioni, i paleontologi sostengono che potevano essere sbattute per volare, proprio come fanno i pipistrelli, oppure potevano essere usate per planare, come fanno gli scoiattoli volanti. ''Non sappiamo de Yi qi sbatteva le ali o planava - commenta il coordinatore dello studio Xu Xin, dell'Istituto di paleontologia dei vertebrati e paleoantropologia di Pechino - ma sappiamo che ha sviluppato un'ala che è unica nella transizione dai dinosauri agli uccelli''. Per fare risultato nella Roma giallorossa, impresa difficilissima, ci vorrà il contributo di tutta la rosa, Borriello compreso. Negli ultimi anni ricordo solo sconfitte. Ora sono in piena corsa Champions, e la concorrente per il secondo posto è la Lazio. Vogliamo davvero andare in Europa? io penso che al momento abbiamo il 15% di possibilità di farcela (comunque già un mezzo miracolo a 5 dalla fine)... bisogna vedere cosa fanno Doria e Fiorentina. I Viola vinceranno di certo, in casa col derelitto Cesena... la Doria in casa con la Juventus, da valutare se i gobbi vogliono vincere lo scudetto fuori casa senza tifosi... sulla carta, la partita chiave è la successiva: il derby Empoli-Fiorentina, Udinese-Sampdoria, Genoa-Torino, questo turno ci dirà un sacco di cose... che poi ci sono anche Inter e Torino da tenere d'occhio, entrambe future ospiti a Marassi, ma i calcoli sarebbero infiniti. Un'ultima questione: in caso di arrivo in parità, potrebbe essere importante la differenza reti, quindi perdere o vincere 1-0 o 3-0 non è più la stesa cosa. Sotto, derby di 35 anni fa, l'anno dopo arrivarono gli sponsor sulle casacche. E forza Genoa!
Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che "Non capisco ma mi adeguo", ripeteva il rappresentante romagnolo di pedalò Maurizio Ferrini, filosovietico tutto d'un pezzo. "Non è bello ciò che è bello, ma che bello, che bello, che bello", argomentava tra non sense e 'nanetti' frate Antonino da Scasazza alias Nino Frassica, mentre Riccardo Pazzaglia teorizzava il 'brodo primordiale' e Massimo Catalano regalava le sue perle di ovvietà, come 'Meglio avere i soldi che non averli', anche queste entrate nel lessico come tormentoni lapalissiani e surreali. Esattamente trent'anni fa, il 29 aprile 1985, si riuniva per la prima volta in seconda serata su Rai2, in un salotto arabeggiante e kitsch, l'allegra brigata di Quelli della notte, capitanata da Renzo Arbore. Trentatré puntate in tutto, fino al 14 giugno, per rivoluzionare il linguaggio tv, creando un nuovo modo di fare spettacolo e trasferendo sul piccolo schermo l'improvvisazione inventata da Arbore alla radio. 800 mila spettatori di media la prima settimana, un milione e 700 mila la seconda, poi 2 milioni, e, nelle ultime due settimane, 3 milioni a puntata, con uno share fino al 51%. Dopo una sigla indimenticabile, 'Ma la notte no', il padrone di casa Renzo Arbore riceveva un manipolo di personaggi. C'erano anche Simona Marchini, signora bene pronta a immolare i suoi sentimenti davanti a una telenovelas, con tanto di ingombrante 'cugina', ovvero una Marisa Laurito in cerca di Scrapizza, suo fidanzato latitante. E ancora un giovanissimo Roberto D'Agostino, esperto dell'effimero, e infine Harmand, Andy Luotto, che per il suo travestimento da arabo, a seguito di una protesta da parte dell'Associazione musulmani italiani e di serie minacce, fu costretto ad abbandonare la trasmissione. E poi Giorgio Bracardi e tanti altri. Il progetto, ricorda Arbore sul sito di Rai Cultura, nacque "dopo una riunione di condominio, da mia madre, a Foggia. Una di quelle riunioni vivaci, animate, fu lì che mi venne l'idea". Tra talk e varietà, musica e comicità, satira sull'attualità e sui costumi, Quelli della notte "fu il primo programma orizzontale", nella definizione di Roberto D'Agostino. "Fino ad allora c'erano solo programmi verticali dove c'era un conduttore che diceva 'ed ecco a voi...' e entrava l'ospite. Arbore ribaltò la cosa e ne fece appunto un programma orizzontale: tutti in scena allo stesso tempo. Un cambiamento che poi tutti hanno copiato". In trent'anni, decine di critici tv, sociologi, addetti ai lavori si sono scomodati per analizzare il successo di un cult. "Il segreto è la doppia lettura, è piacere sia al colto che all'inclita. E' la cosa più difficile da farsi, ma è possibile in televisione", ha spiegato lo stesso Arbore, che firmava il programma con Ugo Porcelli. I nostalgici possono affidarsi alle repliche, che ciclicamente vengono riproposte, o agli archivi Rai online, mentre le sigle di apertura e chiusura (Il materasso) sono tra i punti di forza delle performance di Arbore con l'Orchestra italiana in giro per il mondo. Complimenti a Gasperinj per la vittoria di ieri, non gli capita spesso di vincere questo tipo di partite: nonostante la crisi del Milan, sono 3 punti a sorpresa, pesantissimi, fuori casa, a san Siro, in un momento cruciale del campionato... ora, per andare in Europa, per crederci veramente, sarebbe indispensabile un messaggio da parte della Società. Sotto, mezza Nord nel 1988-89. E forza Genoa!
Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che a che punto è il film di Snoopy? Quella dei Peanuts è una delle uscite più attese dell'anno, anche perché per la prima volta vedremo quella testa tonda di Charlie Brown in 3D sul grande schermo. Non solo: l'ultimo lungometraggio animato (per la tv) dei ragazzini di Charles M. Schulz risale addirittura al 1980. Sarà anche per questo che i creatori di Snoopy & Friends - Il film dei Peanuts, che arriverà nelle sale il 5 novembre, ci tengono aggiornati, step by step, sullo stato dell'arte. Dopo il teaser e il trailer del film, usciti lo scorso anno, adesso in un video il regista Steve Martino ci spiega come si disegna il piccolo Woodstock, l'inseparabile amico di Snoopy. E lancia la sfida: disegnate i vostri canarini e mandateceli all'hashtag #DrawWoodstock. Risultato: un mare di Woodstock, realizzati da autori più o meno famosi, sta cinguettando su Twitter da qualche giorno. Al di là delle strategie di marketing, cosa aspettarsi dal film? Quello che si sa finora dovrebbe rassicurare i fan di Schulz. Il grande disegnatore è morto nel 2000 e nessuno dopo di lui ha disegnato nuove strisce di Linus e compagni, ma questo progetto è nato in famiglia. È stato infatti suo figlio Craig, nel 2006, ad avere l'idea del film: "Se si farà - disse - sarà sotto il controllo degli Schulz. Non puoi tirar dentro persone dall'esterno e aspettarti che capiscano i Peanuts". E così Craig ne ha parlato con Bryan, suo figlio, che di mestiere fa lo sceneggiatore. Entrambi figurano nei credits, anche come produttori. A realizzare la computer grafica ci stanno pensando i ragazzi della Blue Sky Studios, i creatori della saga de L'era glaciale. Steve Martino, il regista, dice che "ognuno di noi, in un momento della sua vita, è stato Charlie Brown", e come dargli torto. Della trama sappiamo che troveremo Charlie e Snoopy all'inseguimento della loro eterna chimera. Per il primo è la ragazzina dai capelli rossi, di cui è da sempre innamorato. Per il secondo è il Barone Rosso, l'asso dell'aviazione della Prima Guerra Mondiale a cui il bracchetto dà la caccia. Ce la faranno davvero, cane e bambino, a realizzare i loro sogni proprio ora, a 65 anni dalla nascita della striscia più famosa del mondo? La striscia che piace ai bambini e agli intellettuali. Tutto infatti è cominciato il 2 ottobre 1950, con le prime quattro vignette dei Peanuts. Altro che 3D, quella di Schulz si imporrà come la strip bidimensionale per eccellenza. Presto diffusa in tutto il mondo su quotidiani, inserti domenicali, riviste e libri di raccolte: nel 1965 Charlie e gli altri sono già sulla copertina di Time. E come in un'inarrestabile reazione a catena, i ragazzini (e il bracchetto, e gli uccellini) di Schulz sono debordati su tazze, magliette, diari, infiniti oggetti di merchandising. Come è possibile? A funzionare perfettamente era il paradosso di un mondo dove gli adulti sono solo presenze fuori campo, ma dove i bambini hanno la profondità e le frustrazioni e le necessità e i dilemmi esistenziali tipici degli adulti, pur rimanendo bambini. I lettori più piccoli e quelli più colti si commuovevano e divertivano vedendo la faccia di Charlie in attesa dei biglietti di San Valentino ("Nulla echeggia più di una cassetta della posta vuota"), le continue sconfitte della squadra in cui gioca ("Vorrei poter parlare con chi ha inventato il baseball" dice una volta a Linus, sul solito muretto. "Per chiedergli consiglio?" "No, per chiedergli scusa"), la fragilità di Linus nel rapporto con la sua coperta, il cinismo di Lucy, la gioia di vivere di Snoopy. Non c'è da stupirsi dunque se la serie arriverà nel nostro paese (il primo volumetto della Milano Libri è del 1963) grazie all'interesse e alla passione di quel gruppo di intellettuali - da Umberto Eco a Oreste Del Buono a Giovanni Gandini - legati alla rivista chiamata, appunto, Linus, fondata nel 1965. Un viaggio quotidiano tra l'umoristico e l'esistenziale terminato con la morte di Schulz, a 77 anni, il 12 febbraio del 2000. Poco prima aveva annunciato (tramite una vignetta, ovvio) di non essere più in grado di produrre una striscia al giorno. I Charlie Brown pre-digitali. È stata la pubblicità a battezzare l'esordio dei Peanuts nel mondo dei cartoni animati, per una serie di spot della Ford e poi, nel 1965, per Un Natale da Charlie Brown, speciale televisivo CBS sponsorizzato dalla Coca Cola. La storia di Charlie che supera una classica depressione natalizia (e con un gracile alberello da decorare che crolla sotto il peso della prima pallina) ebbe un grande successo. E così la tv americana continuò a sfornare speciali a cadenza quasi annuale. Il primo lungometraggio è arrivato nel 1968, Un ragazzo di nome Charlie Brown, ne seguiranno altri tre. Alcuni di questi prodotti vennero distribuiti nei cinema di vari paesi ma, a differenza di Peanuts: The Movie erano film pensati per la tv e solo successivamente approdati al grande schermo. I vecchi cartoon di Charlie Brown firmati dal regista Bill Melendez, che gli autori del nuovo film considerano un riferimento imprescindibile, erano animazioni tradizionali ma efficaci con varie trovate: la voce degli adulti era sostituita da uno strano suono di trombone (e d'altronde nel fumetto non li vediamo né sentiamo mai); Snoopy si esprimeva attraverso smorfie, movimenti e pantomima (nei fumetti invece leggiamo i suoi pensieri). Altra caratteristica era il tema musicale di Vince Guaraldi, il pianoforte di Linus and Lucy e altre composizioni che accompagnavano tutti gli speciali tv. Sapere che riascolteremo quelle note jazz in Snoopy & Friends è stato un regalo per tutti i cultori del bracchetto e dei suoi giovani, profondissimi amici. Sotto, 1982-83, Genoa-Juventus 1-0, golasso su punizione di Dustin Antonelli
Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che chi non ricorda il più schifoso cesso di Scozia? Non proprio un’immagine da educande, così come tutte quelle evocate da Trainspotting, romanzo scandalo degli anni ’90 britannici. Il successo di culto generazionale del film ha poi contribuito a imporre il nome di Irvine Welsh, figlio della working class di Edimburgo, sulla mappa degli scrittori in grado di raccontare un mondo, il proprio, in brutale cambiamento. Il sesso, le droghe, il punk, il carcere, i conflitti fra tifosi di calcio e religiosi, le famiglie nate sfaldate, il proletariato. Sono tutte situazioni che Welsh stesso ha vissuto nella sua turbolenta vita e che i suoi protagonisti hanno messo in scena in altri libri come Il lercio, Colla e Porno, il sequel vero e proprio di Trainspotting. Il suo nuovo romanzo, Godetevi la corsa, arriva ora in Italia pubblicato da Guanda, a pochi mesi dall’uscita britannica. Nel romanzo, ancora ambientato fra i quartieri popolari e borghesi di Edimburgo, ritroviamo Terry Lawson, detto Gas Terry, un tassista che si arrangia spacciando qua e là e cercando di andare a letto con più donne possibile. Nel romanzo siamo sempre nell’amata/odiata città con uno stile e una lingua, lo scozzese di strada, arditamente tradotto da Massimo Bocchiola, che ben se la cava nel rendere uno stile quasi intraducibile. Incesti, scopate a destra e manca e con un cadavere, situazioni grottesche, risate, un uragano soprannominato “du' palle”, dei tabagisti scozzesi in rivolta, un ricco americano protagonista di un reality show con la cresta punk. Non manca niente del consueto repertorio di Irvine Welsh, che abbiamo intervistato in occasione del suo tour promozionale in Italia. Come mai ha scelto di raccontare la storia di Terry Lawson, già protagonsita di Colla. Cosa non era ancora stato svelato di lui? È uno dei miei personaggi preferiti, perché è ossessionato, apparentemente monodimensionale. In qualche modo ha un lato narcisistico che lo avvicina ai drammi che viviamo però tutti noi, li rappresenta. Non accetta compromessi, è molto divertente e interessato alla vita. A suo modo ha un senso morale molto forte, è un decent man per parafrasare il titolo originale? Sì, è vero, non è misogino o sessista, pur essendo ossessionato dal sesso; le donne gli piacciono, le capisce, per certi versi vorrebbe essere una di loro. Si relaziona con loro come non riesce a fare con gli altri uomini. Allo stesso tempo cerca l’approvazione delle donne, cosa che non gli accade con gli uomini. Ha quasi un approccio femminista alla vita. Come è cambiata Edimburgo oggi? Ce l’ha raccontata negli anni ’80, nei ’90 e ora il proletariato dei nostri giorni come se la cava? Si cambia sempre continuamente. A Edimburgo è come fosse sempre in corso una lotta fra criminalità e rispettabilità. È sempre stata una città non a proprio agio con se stessa, sempre alla ricerca di una propria armonia. È questo il motivo per cui è affascinante da raccontare in un libro, o un ottimo posto da cui provenire: per le sue tante sfumature. Ti può capitare di ritrovarti in un contesto sociale completamente diverso semplicemente attraversando la strada e prendendo un’altra via. Il protagonista è un taxi driver: una figura tipica della letteratura o del cinema. Un tassista incontra molte persone diverse. Cosa la affascinava? Come ha detto lei, il tassista è un lavoro molto drammaturgico, perché entra in contatto con tante persone diverse. Poi è come un prete nel confessionale con cui la gente si sfoga. Tutti i tassisti che ho conosciuto hanno sempre un sacco di storie da raccontarti, ne vedono di tutti i colori. Erano aspetti che mi interessavano. Ha creato un universo con i personaggi dei suoi libri che riappaiono qui e là. È importante per lei parlare degli stessi personaggi in varie fasi della sua e della loro vita? Non è qualcosa che faccio intenzionalmente, ma appaiono naturalmente raccontando gli stessi posti. I personaggi sono semplicemente degli strumenti con cui si scrivono i libri. Se il lavoro lo richiede puoi trovarti a riutilizzarli più di una volta. Dipende poi da quello che vuoi raccontare: se è qualcosa di nuovo ci vogliono nuovi personaggi. Il sesso è la chiave per lei? Tutto accade a causa o intorno al sesso? Non tutto, ma molte cose. È una parte decisamente importante della vita degli esseri umani il che rende naturale il fatto che governi molte delle nostre azioni. Quello che mi interessava era raccontare gli uomini: come animali, guidati dall’istinto verso necessità primarie come il cibo, il sesso, di un rifugio; ma anche come creature cerebrali e astratte. Credo che il fascino sia nella combinazione delle due, che ci conduce verso luoghi strani. Ha mai pensato alla grande sfida rappresentata dal tradurre i suoi libri, scritti in una scrittura così caratterizzata? A tutti i traduttori che fanno un lavoro improbo nel cercare di rendere l’essenza della sua prosa? Sì... [ride]. Devi fidarti perché non conoscendo le varie lingue non sai come possa risultare il lavoro di traduzione. Devi fidarti del lavoro dei tuoi editori e dei traduttori. Sicuramente mi lusinga pensare alla cura che ci mettono nel tradurre al meglio i miei romanzi. Ha sempre manifestato un forte impegno politico nei confronti della sua Scozia. Cosa pensa della possibilità dell’indipendenza e delle elezioni politiche si svolgeranno fra pochi giorni in Gran Bretagna? Riguardo all’indipendenza penso che prima o poi accadrà. La Gran Bretagna si sta disintegrando da trent’anni. Tutto è sparito: l’industria, l’impero che non ha resistito a due guerre mondiali, il welfare state, il sistema sanitario nazionale pubblico. È tutto andato in malora o ha dovuto subire compromessi e cambiamenti che l’hanno reso irriconoscibile. Il paese, la Gran Bretagna, non ha più nessun collante che lo mantenga unita tanto che la gente non pensa più in termini di Regno Unito, ma delle singole nazionalità. Quello che sta accandendo in Scozia è che la gente non si riconosce più in questa realtà e vuole un cambiamento radicale. Che succeda in maniera drammatica o più graduale, il destino credo porterà alla separazione dal Regno Unito. In che modo è cambiata la maniera di raccontare la sua città? Vivere a Chicago l’ha aiutata a mettere le cose in prospettiva o le ha fatto perdere il contatto con la vita quotidiana della città? Sono fortunato, ho ancora casa in Scozia e a Edimburgo, dove vivo tre mesi all’anno. Così sento ancora forte la connessione, ma è vero che vivere a Chicago e Miami mi ha dato modo di vedere le cose in maniera diversa. È una domanda molto interessante che mi pongo anche io. Come funziona invece la sua routine come scrittore? Mi sveglio molto presto, lavoro per alcune ore, poi faccio colazione, vado in palestra o fuori per pranzo. Quindi torno a casa a rivedere quello che ho scritto e magari nel pomeriggio vado in un coffee shop. Poi mangio qualcosa per cena e stop. Questo sono io. Crede che Godetevi la corsa sia il suo libro più divertente? Credo sia il più comico, questo sì, mentre la maggior parte degli altri che ho scritto sono drammatici con un pizzico di umorismo nero per rendere più facile al lettore il coinvolgimento nel dramma. Qui è l’umorismo a prevalere decisamente rispetto a ogni altra cosa. Sotto, stagione 1986-87: Lazio-Genoa 1-1, in foto due grandi combattenti: Giuliano Fiorini e Angelo Trevisan... il generosissimo Angeluzzo, con noi nel terribile periodo dal 1985 al 1988, ha trascorso una carriera in serie cadetta... Giulianone, con noi due anni (ma non di fila) nei primi anni '80, l'attaccante più spettinato di sempre. E forza Genoa!
Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che le relazioni, gli scambi, gli sguardi, i 'fuochi incrociati' tra arte italiana del secondo dopoguerra e il Realismo socialista fiorito in Urss, sono per la prima volta al centro di una grande mostra allestita dal 30 maggio al 4 ottobre a Mantova, negli spazi delle Fruttiere di Palazzo Te. Un'occasione unica per tornare a riflettere sulle affinità elettive o le divergenze culturali e linguistiche, passando per le opere di artisti italiani come Guttuso, Purificato, Sughi, Turcato, Astrologo, Attardi, Castellani, Trombadori e molti altri e quelle dei sovietici che dal 1934-'56 al '74 parteciparono alla Biennale di Venezia. Intitolata 'Guardando all'Urss. Realismo socialista in Italia dal mito al mercato', l'importante esposizione è stata organizzata dal Centro Internazionale d'Arte e di Cultura di Palazzo Te, con il patrocinio del Mibact, del Consolato Generale della Federazione Russa a Milano, della Regione Lombardia, del Sistema Mantova per Expo. La curatela è stata affidata a Ilaria Bignotti, Vanja Strukelj e Francesca Zanella, le quali (affiancate dai esperti dell'Università di Parma e di altri istituti di ricerca) sono riuscite a mettere a punto una selezione di opere di grande respiro internazionale, nonché numerosi documenti, video, fotografie, manifesti e libri, poco (o per niente) conosciuti al pubblico. La rassegna, del resto, prende le mosse dagli anni della frontale contrapposizione politica, quando per almeno metà degli italiani l'Urss era il mito, il paradiso della giustizia sociale, mentre per l'altra rappresentava la concretizzazione del demonio in terra. Erano gli anni in cui i maggiori intellettuali del paese (come Levi, Calvino, Moravia) compivano il loro pellegrinaggio laico a Mosca e, d'altro lato, lunghe code si formavano all'Ermitage per ammirare i dipinti di Renato Guttuso. Per indagare questa vicenda, da decenni finita in un cono d'ombra, eppure cruciale per lo sviluppo artistico-culturale della nazione, la mostra punta sulla riproposizione dell'immagine mitica dell'Unione Sovietica approdata anche in Italia e sul ruolo assunto dall'iconografia realista nel processo di diffusione e veicolazione. L'allenatore dell'Arezzo Ezio Capuano fa una corsa sfrenata e viene colpito da malore durante la partita casalinga con il Monza. E' accaduto nel pomeriggio mentre si stava disputando una partita valevole per il girone A della Lega Pro. Dopo il gol del 2-1 firmato dalla propria squadra, all'88°, Ezio Capuano ha sfogato la sua gioia con una corsa sfrenata di circa 70 metri verso la curva sud dei sostenitori locali. Questa esultanza però gli è costata non solo l'allontanamento da parte dell'arbitro, ma anche il malore. Le sue condizioni non sono gravi, ma i sanitari hanno deciso di trattenerlo per accertamenti. Molti genoani ieri si sono commossi, brividi pelle d'oca lacrime e frasi importanti: rivedere lo strepitoso bandierone UCGC è stata una bella botta al cuore, come rivedere dopo tanti anni una fidanzata amatissima e poi un giorno scomparsa senza motivo... anche il tifo ne ha clamorosamente risentito, a tratti sembrava di essere due decenni fa.... e forse ci siamo commossi perchè per un attimo abbiamo sperimentato la differenza tra quello che è stato e quello che è oggi, abbiamo allucinato e vissuto in contemporanea due momenti storici diversi. Sotto, 29 anni fa, in Bologna-Genoa i tifosi del Grifone si fanno sentire e vedere. E forza Genoa!
Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che parla ansimando, ha il respiro affannato, poi indistinta una voce di donna. Sta facendo l'amore durante un'intervista telefonica? "Ma no, sto portando a spasso il cane e questo maledetto mi trascina; le voci che sente sono delle signore nel parco", esclama Mick Hucknall. "Ma cosa va a pensare? Ho messo la testa a posto, sono un uomo sposato ". Già, ma prima che sei anni fa sciogliesse i Simply Red, la band da 55 milioni di dischi venduti che si prepara a un'insperata reunion per il trentennale, era un insospettabile ma implacabile Casanova. Non solo groupies, nella tela sono rimaste invischiate sex bomb come Catherine Zeta-Jones, Helena Christensen e Adriana Sklenarikova. "Avevo bisogno di approvazione ", mormora l'artista di Manchester che ora vive in una tenuta in Irlanda. Sua madre abbandonò la famiglia quando lui aveva 3 anni, da allora l'ha rivista una sola volta, negli anni 90; la malinconia di quella situazione è tutta nella canzone Holding back the years, scritta a 17 anni e pubblicata nel 1985 nel magnifico esordio dei Simply Red. Solo pochi anni fa, dopo decenni di vagabondaggi sentimentali, Hucknall si è costruito quella famiglia che ora, a 54 anni, celebra generosamente in Big love, l'album dei risorti Simply Red in uscita il primo giugno, preludio di un tour autunnale che li porterà il Italia, rispettivamente a Roma e a Milano, il 14 e 15 novembre. "Riformare la band non era proprio nei miei piani", spiega, "Pensavo a un concerto celebrativo, poi sono arrivate le canzoni di Big love, una riflessione su questi anni da solista, il matrimonio, la nascita di una figlia, la morte di mio padre". Perché sciolse i Simply Red? "Volevo essere un genitore responsabile, ma indubbiamente c'era un bisogno interiore di cambiare vita ". Si è anche dedicato alla sua tenuta alle pendici dell'Etna che produce un vino, "Il cantante". "Momentaneamente ho sospeso la produzione, ma stiamo tentando una joint venture con un imprenditore locale per riprendere a pieno ritmo". Quando ha deciso di diventare un cantante professionista? "A 6 anni, quando cantai a un matrimonio I want to hold your hand dei Beatles". In seguito si buttò in un'avventura punk. "I Frantic Elevators furono un momento di ribellione giovanile. Ero devoto ai Beatles e al repertorio Motown, inevitabile che tornassi alla mia vocazione". Chi erano i suoi idoli? "Nessun idolo, un solo modello: John Lennon. Anche lui era stato abbandonato dalla madre. Sono cresciuto senza una vera famiglia, con un padre che ha fatto le veci di tutti i parenti, perché non ho avuto neanche i nonni; quelli paterni erano morti, quelli materni si erano dileguati con lei. Nessuno meglio di me può comprendere cosa voleva dire Lennon quando cantava Help". A suo padre ha dedicato Dad, una delle canzoni più toccanti del nuovo cd. "Glielo dovevo, ha sacrificato tutta la vita al suo unico figlio, evitando persino di risposarsi per non ferirmi. Lavorava sei giorni a settimana e quando tornava a casa cucinava, faceva le pulizie, il bucato. Papà è morto nel 2009, mi sono sentito come se avessi perso tutto, per fortuna avevo mia figlia Romy, nata da poco, e la mia compagna. Mi è dispiaciuto non potergli comunicare la gioia di essere tre in casa". Crescere sapendo di avere da qualche parte una madre che non vuol saperne di suo figlio è stato determinate per la sua sensibilità artistica... "La sua assenza mi ha reso esageratamente sensibile. Ancora oggi mi sento un diverso. Ormai siamo preparati all'idea di figli che vivono con un solo genitore, ma se proprio deve essere così ritengo sia più naturale che i piccoli crescano con la madre. La mancanza della mia è stata devastante. Con lei accanto avrei potuto essere un uomo migliore. Non riuscivo ad avere relazioni normali, specialmente con le donne, troppo spesso non ho rispettato i loro sentimenti. Non amavo perché non sapevo amare. In Sicilia invidiavo quelle belle famiglie con padre, madre e una schiera di frugoli. Mio padre era fantastico, ma anche un maestro di incomunicabilità; quando restammo soli si isolò, smise di uscire e costruì un mondo in cui esistevamo solo noi due. Avevo 25 anni quando finalmente decise di far entrare in casa una linea telefonica ". Il successo avrà colmato molte delle sue insicurezze. Si è mai sentito viziato dall'adulazione del pubblico? "Eccome! Nessun essere umano può resistere a sollecitazioni del genere. La celebrità non è facile da raccontare, è un'onda che ti travolge - piacevolmente irresistibile all'inizio - fino a cancellare ogni traccia di normalità. Il primo campanello d'allarme suona quando ti rendi conto che non hai più un attimo per te stesso; a quel punto o ti lasci andare e perdi il controllo o fai dietrofront e stabilisci delle priorità". Ha ragione chi dice che il mondo del pop è illusorio, pericoloso persino? "La risposta è sì, senza se e senza ma". Con i Simply Red è solo un momentaneo ritorno di fiamma? "Non voglio far pronostici, ma questa volta non ci sono porte chiuse. Mia figlia ha 7 anni, ormai può viaggiare con suo padre". Sotto, Little Club in trasferta, molto difficile dire l'anno preciso, potremmo essere a fine anni '60. E forza Genoa!
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