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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 11/06/2015 @ 07:08

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che piacere, Cosimo", si presenta così, stretta di mano e mezzo sorriso, davanti alla gioielleria che ha appena aperto qui in centro a Lugano. Gué Pequeno, ovvero Cosimo Fini, nato 35 anni fa a Milano. Colori distintivi: nero e oro, ciò che indossa, cappellino, maglietta e tuta, monili e orologio, tutto griffato ("sono un edonista: mi piacciono le belle macchine, tra le altre cose"), secondo l'estetica del rapper di successo. E scorretto. Perché questo è Gué Pequeno, sia con il Club Dogo (7 album dal 2003), sia come solista (al terzo disco con Vero, in uscita il 23 giugno per Universal/Def Jam e già record di prenotazioni): centinaia di migliaia di copie vendute, attività frenetica ("vivo al ritmo dei social, non sto mai fermo ") e una reputazione controversa per gli eccessi dentro e fuori le rime ("politicamente scorretto, sempre e per scelta"), milioni di visualizzazioni a ogni video pubblicato online, tra ostentazione e spirito imprenditoriale: prima di questo negozio, un marchio di streetwear e l'etichetta (Tanta Roba) con cui ha lanciato altri nomi dell'hiphop italiano (da Salmo a Fedez, per esempio). "Ma dopo il boom degli ultimi due anni le radio italiane sono tornate a limitare lo spazio per il rap: preferiscono spingere cantanti settantenni che vendono metà di noi. Perché questo rimane un Paese per vecchi".
Come ribadito in Vero, album segnato da ospiti importanti (Akon e Joke), basi iper-curate. E parole ruvide.
"Un disco crudo, soprattutto per i testi. Ma la mia è un'ignoranza sofisticata: dietro le rime più truci c'è un'elaborazione. Trovo deprimente che in Italia non si consideri la qualità della scrittura, soltanto per l'uso di certe parole. Non puoi leggere le mie rime come testi di un cantautore, senza contare le esigenze ritmiche e fonetiche dell'hip hop".

Rivendicazione di stile?
"Ho lavorato anni per creare il mio lessico, sono quello che dico e non mi importa di piacere a tutti".

Nell'immaginario delle nuove generazioni rapper e calciatori sono le vere rockstar...
"Siamo diventati punti di riferimento. Ma non vogliamo essere giudicati per questo. Lavoro con amici che vengono dalla strada, cresciuti con me, nel bene e nel male".

Torniamo lì, alla Milano nella quale siete cresciuti.
"Ho vissuto quella città a 360 gradi: dai centri sociali che frequentavo perché mi piaceva il reggae, alle storie criminali, fino alle ragazze ricche che mi hanno introdotto in mondi che nemmeno immaginavo... Diciamo che ho visto tutto".

Con una formazione classica, giusto?
"Sì: liceo, poi dodici esami a Filosofia e scuola di teatro. Prima che la strada, l'hip hop e il Club Dogo mi portassero via, da altre parti".

Nella vostra narrazione, sembra esserci un grande assente: la criminalità organizzata. Eppure, su Milano la presa della 'ndrangheta era forte.
"Se sei un rapper ti ritrovi anche esposto a conoscenze strane, giri l'Italia e magari fai pure pezzi con i neomelodici napoletani. Poi certo, a Milano quella era la situazione, ma...".

Ma?
"Ma un rapper è in realtà un cronista: vive e racconta, la visuale è quella della strada. Se non vivi, le cose non le sai e allora cosa racconti? Quel che è certo è che non voglio essere un mafioso".

Il gossip invece: gli scatti con la Minetti...
"Storia vecchia, quella. Ma esperienza utile, per rendermi conto che in Italia conta più il contorno della musica. Tutti parlano sempre di politica: a me non interessa, non è la mia storia. In questo Paese se sei un artista sembra che tu debba sempre giustificarti, spiegarti. All'estero non funziona così".

A proposito: mai cercato dalla politica?
"No e spero che non mi cerchino mai".

Da molti testi traspare un senso di solitudine...
"Ho attraversato momenti difficili ed è vero: i miei pezzi più famosi sono quelli che hanno a che fare con la depressione: toccano l'anima di chi ascolta che ci si riconosce".

Oggi come si sente Gué Pequeno?
"Rispettato. E i soldi non rappresentano più un valore assoluto".

Il futuro, quindi?
"Voglio spostarmi, sperimentare altri linguaggi. Il cinema, forse. E altri progetti da imprenditore, ci sto prendendo gusto".

Guardando indietro, invece: cosa manca di quando era un ragazzo?
"Niente, perché in fondo sono rimasto quel ragazzino che ero allora. Prima del successo, prima di tutto il resto. Me lo dicono i miei genitori, me lo ricordano le fidanzate. Ed è vero: sono sempre lo stesso Cosimo".

Grazie ai donatori di ieri: Claudio A. e Giambattista S. (da Monza). Asta che continua a cioccare, ora in testa con 279 euro c'è Fabio Guglielmi, pare una lotta tra 3-4 pazzi, ma aspettiamo sabato perchè ci arrivano rumors che proprio in quel giorno si decideranno le sorti della casacca di Perotti. E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 10/06/2015 @ 06:53

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che ecco la notevolissima mail ricevuta ieri dall'amica Elena:
"Cari amici di Un Cuore Grande Così, ho iniziato e ricominciato questo pezzo non so quante volte perché proprio non so come raccontare questa stagione 2014/2015. Lo so lo so tutti voi la avete vissuta con noi e siete passati come tutti quanti dalle roboanti gioie dei Genoa- Inter, alle più recenti notizie della mancata licenza Uefa, ma per me, per le mie colleghe ed i miei colleghi e soprattutto e tutti per i ragazzi, la stagione 2014/2015 non è stata solo questo.
La stagione sportiva è iniziata per tutti noi con la raccolta estiva, sia per i pazienti ricoverati in comunità psichiatriche o seguiti dal centro diurno psichiatrico territoriale sia per i giovani adolescenti che da quest’anno si sono aggiunti all’ex gruppo “Tribuna superiore UCGC”, le premesse non erano buone, la gente non donava. Soldi pochi, tanto scazzo le magic box che tanto speravamo di riempire rimanevano sempre vuote e per i ragazzi la delusione era cocente. Loro si impegnao molto nella raccolta, che rappresenta oltre che una attività anche una sorta di riscatto, un sentirsi produttivi… più raccogli più abbonamenti ottieni più dimostri di essere ancora utile capace.
Dopo giorni di delusione e frustrazione totale ed ecco lì il primo grande risultato di UCGC nato dal gruppo, dall’entusiasmo di chi segue giornalmente le sue pagine e le sue attività e tra una birra, una post, una cena, amici di UCGC si sono affiancati a Rita Lorenzo e Riccardo e così Paolo, Lorenzo, Tiziana, Silvia, Fulvio, Franco, Carlo, Luigi, Maurizio e molti altri di cui non ricordo i nomi hanno iniziato a pompare tutti per incrementare le donazioni e si è tornai a respirare entusiasmo ed il totalone è salito!!!
E siamo arrivati al momento degli abbonamenti e del campionato; si si ci siamo un po’ spaventati perché dalla tribuna siamo stati spostati nei distinti, motivo per il quale oggi il nostro gruppo si chiama “Matti per il Genoa, sezione UCGC”, ma superato il leggero disorientamento iniziale abbiamo apprezzato la nuova collocazione.
Il nostro oramai è un gruppo coeso che si conosce da anni in cui i pazienti aspettano di ritrovarsi di anno in anno; chi vive in residenza attende la domenica per uscire, attraversare la città e ritrovare gli amici dello stadio come faceva da giovane ed, una volta lì, si racconta i giorni trascorsi, i propri progetti e l’anno giocato da questo Genoa e dai tifosi del Genoa ha regalato ad ognuno di loro emozioni a dir poco impagabili. Quando ha fatto molto freddo o quando per problemi di salute non siamo potuti andare allo stadio gli accidenti che mi sono presa sono stati moltissimi perché avrebbero voluto partecipare comunque perché di questo Genoa non si potevano perdere neppure 5 minuti.
Proprio oggi ho chiesto loro il ricordo più bello di quest’anno e per tutti ha vinto l’emozione… quando la Nord è stata vestita dal bandierone di Un Cuore Grande Così sono scese le lacrime, il giovane genoano in ognuno di loro si è caldamente risvegliato, ha viaggiato in trasferta, ha teso la bandiera, ha cantato sotto di essa e quando la ha rivista si è risentito a casa, tra gli amici di sempre, felice.
E poi il grande finale, che per noi si ferma al campo giocato, ai risultati, ai gol fatti, alla trasferta a Sassuolo che non abbiamo fatto, ma che sembrava quasi, tanto contavano ogni giorno il numero di tifosi in partenza, che non mi avessero detto niente e fossero su un pullman dei Vintage o dei Figgi!
Noi ci fermiamo qui ed anche io voglio cristallizzare questi momenti in questo personalissimo emerge che, non perché non abbia una posizione in merito ai fatti della licenza e a come un glorioso campionato si è concluso, ma perché non voglio che almeno in queste righe venga spento l’entusiasmo ed il sogno dell’essere genoani. Vorrei almeno per un attimo avervi portato lontani da altre vicende e potervi trattenere nella magia che il Genoa e Voi avete regalato ancora una volta grazie ad UCGC, a Mauro che non smette un secondo di parlare di Genoa e sta zitto solo allo stadio, a Roberto che oltretutto sta imparando a fare le scale e ogni tanto si siede con noi! a Enzo e Marina che sono una coppia meravigliosa che si sostiene ogni giorno, a Michele che sta iniziando un nuovo progetto di vita a cui auguriamo un enorme in bocca al lupo! ad Andrea che per la prima volta in tanti anni abbiamo visto saltare in piedi ed esultare in Genoa Inter, lui che sta chiuso a riccio e non perde mai una partita. Ai ragazzi di Villa degli Angeli, orfani della loro Annalisa, preziosissima terapista che è passata a nuovi incarichi ed ai giovani adolescenti che speriamo attraverso ognuno di voi imparino i valori di lealtà, impegno, ed amore.
Quindi grazie come sempre a tutti, con Un Cuore Grande Così e rimboccatevi le maniche perché per la raccolta avremmo bisogno di ognuno di voi!
Elena, Matti per il Genoa sez. UCGC".

Grazie ai donatori di ieri: Carlo R., Andrea V., Antonella G., Giovanni M., Stefano D.S., Nicolina C., Christian D., Cinzia P. L'asta per la casacca di Perotti sta facendo sfracelli, siamo arrivati a 273 euro, c'è tempo fino a sabato: a questo giro l'amico Simone Braglia sembra messo in difficoltà dagli efficaci contropiedi del giovane attaccante Fabio Guglielmi. E ogni lunedì per i prossimi 3 mesi partirà una nuova asta, quindi restate sintonizzati sulle nostre frequenza perchè ci sarà da divertirsi. E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 09/06/2015 @ 07:37

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che è morto il proprietario della Playmobil, l'industriale tedesco Horst Brandstatter. Avrebbe compiuto 82 anni il 27 giugno. Era entrato a 19 anni nell'azienda di famiglia, fondata nel 1876 in Baviera, portandola al top dell'industria mondiale con ricavi per 595 milioni di euro nel 2014. Nel 1958 ebbe l'intuizione di produrre l'hula hop in Europa con vendite record mentre con la crisi del petrolio nel 1974 sviluppò industrialmente l'idea di gioco a personaggi di plastica Playmobil, inventato dal designer Hans Beck motore creativo della società. Fino alla fine in azienda non ha mai voluto spostare la produzione dall'Europa. Dal 1974, il sistema di gioco Playmobil creato da Hans Beck è diventato un classico compagno di gioco per i bambini, grazie alle sue molteplici ambientazioni - dal Castello dei Cavalieri all’Hotel delle Vacanze, fino all'ultimo Salone del Mobile. Da allora circa 2,7 miliardi di personaggi con il loro caratteristico sorriso sono stati prodotti. Oltre 30 temi di gioco differenti sono stati e sono attualmente distribuiti in più di 100 paesi in tutto il mondo. Alti 7,5 cm, i personaggi e le storie di Playmobil sono giochi di ruolo creativo che stimolano la fantasia e la creatività, promuovendo lo sviluppo del bambino: i bambini possono calarsi in molti ruoli diversi, e ricreare – sperimentandolo - un mondo in miniatura. Essere cavaliere o pirata in scenari storici differenti, costruire una città, curare e accudire gli animali, far rispettare la legge come un poliziotto o compiere missioni da agente segreto, sono alcune delle tante situazioni.

Simone C., Felice F. (da Napoli), Daniel R., Simone M., Marco L. G. (da Londra), Walter F. grazie per le donazioni di ieri, inattese ma in fondo perchè poi inattese? siete sempre presenti e continuate ad esserlo ancora, grazie! e on line sul gruppo facebook è iniziata l'asta per la casacca originale di Perotti, con autografo: base d'asta 80 euro, siamo già a 205! Minchia, è riniziata la raccolta, 3 mesi on the rocks, a questo giro impazziamo tutti E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 08/06/2015 @ 07:33

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che eccezionale intervento in Texas. I chirurghi dell’Houston Methodist Hospital e dell’University of Texas MD Anderson Cancer Center hanno trapiantato con successo, per la prima volta, il cuoio capelluto e il cranio di un uomo, durante l’esecuzione di un multitrapianto di rene e pancreas. Protagonista della «maratona» chirurgica James Boysen, un 55enne sviluppatore di software di Austin, Texas: secondo i sanitari è il primo paziente al mondo a ricevere il trapianto di cranio e cuoio capelluto, in simultanea con quello di altri organi. L’uomo soffriva, fra l’altro, di un raro tumore che l’aveva sfigurato. L’intervento di 15 ore, che è stato studiato quasi quattro anni fa ed è stato eseguito a Houston da un team guidato da Jesse C. Selber e Osama Gaber il 22 maggio, circa 20 ore dopo la notizia della disponibilità degli organi. Boysen è stato dimesso ieri dall’Houston Methodist Hospital. Agli interventi hanno preso parte più di 50 operatori sanitari delle due strutture. Selber, che ha avuto l’idea di trapiantare il cuoio capelluto e il cranio del paziente durante lo stesso intervento necessario per gli altri organi, afferma: «Questa era una situazione clinica ideale, che ci ha permesso di espiantare tutti questi tessuti da un paziente, ma anche la pazienza, il coraggio e l’entusiasmo di Jim per l’idea è stato di vitale importanza». È stato un intervento chirurgico «molto complesso perché abbiamo dovuto trapiantare i tessuti utilizzando la microchirurgia», spiega Michael Klebuc, che ha guidato il team di chirurgia plastica del Methodist Hospital. Nel 2006 a Boysen era stato diagnosticato un leiomiosarcoma, un raro tumore sul cuoio capelluto. Trattato con successo con la chemio e le radiazioni, all’uomo era rimasta una grande e profonda ferita sulla testa, che includeva il cuoio capelluto e l’intero spessore del cranio fino al cervello. Rene e pancreas trapiantati nel 1992 (il paziente soffre di diabete da quando aveva 5 anni) erano arrivati al limite: così si è reso necessario l’intervento. «Quando ho incontrato Jim, ho fatto il collegamento tra la sua necessità di un nuovo rene e un nuovo pancreas, l’effetto dei farmaci anti-rigetto e la possibilità di impiantare cuoio capelluto e cranio», dice Selber. In pratica la terapia antirigetto avrebbe protetto anche questi nuovi tessuti.

E se qualcuno volesse donare per la consueta raccolta benefica, giunta alla XII Edizione, basta andare nel sito www.uncuoregrandecosi.it e con due mosse il gioco è fatto. E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 07/06/2015 @ 07:43

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che grazie ad un nuovo studio potrebbero esserci speranze per chi soffre di autismo, Alzheimer ma anche sclerosi multipla: il cervello è direttamente collegato al sistema immunitario tramite dei vasi linfatici che in precedenza si pensava non esistessero. Questi vasi potrebbero essere sfuggiti al rilevamento quando il sistema linfatico è stato mappato in tutto il corpo. Lo afferma uno studio fatto sui topi, della University of Virginia School of Medicine e pubblicata su "Nature". Finora, la mancata osservazione dei vasi linfatici del cervello era probabilmente dovuta al fatto che erano "nascosti molto bene", ha spiegato Jonathan Kipnis, uno degli autori della ricerca. Oggi, le immagini di questi vasi, scoperti grazie a un'intuizione di Antoine Louveau, sono state 'catturate' in un'area complessa, nei 'seni', cavità nelle ossa del viso che sono di collegamento con le cavità nasali. La loro presenza solleva domande sul cervello e su alcune patologie. Per esempio, nell'Alzheimer, come spiega Kipnis "ci sono accumuli di grandi blocchi di proteine nel cervello che pensiamo possano essere accumulate perché non sono state efficientemente rimosse da questi vasi". E ci sono altre malattie neurologiche, dall'autismo alla sclerosi multipla, che devono essere riconsiderate alla luce di questa scoperta. Kevin Lee, che presiede il Dipartimento di Neuroscienze, conclude: "La prima volta che mi hanno fatto vedere il risultato di base, ho detto: 'Dovranno cambiare i libri di testo".

E trascorrono questi giorni surreali, mentre il sito ufficiale srotola news come se nulla fosse accaduto, aggrappandosi alla consueta perdita di memoria dell'essere umano: eppure, a pensarci bene, alla fine, nessuno può dire di sapere la motivazione della nostra esclusione dall'Europa. E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 06/06/2015 @ 07:59

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che stressati sul lavoro, sempre connessi attraverso tablet e smartphone e magari con qualche vizietto tipo fumo e alcol per rilassarsi la sera dopo una dura giornata. Tutte cattive abitudini che attentano alla virilità dell'uomo. Sono sette, infatti, i comportamenti che mettono a rischio la salute sessuale maschile. Oltre a quelle già citate, infatti, ci sono mancanza di sonno, alimentazione scorretta e sedentarietà. Ma non tutto è perduto. Con un po' di allenamento e tanta forza di volontà, anche i nemici del maschio possono essere sconfitti perché se è vero che le buone abitudini cominciano fin da giovani, modificare quelle cattive per migliorare la vita sessuale è possibile. Ne parleranno nei prossimi giorni e fino all'8 giugno gli specialisti della Società italiana di andrologia, riuniti a Napoli in occasione del XXXI Congresso nazionale. Come emerge da numerose ricerche effettuate per indagare il ruolo dello stile di vita sull'incidenza di diverse patologie andrologiche tra cui disfunzione erettile e infertilità, il fumo, l'alcol, la vita sedentaria e i chili in eccesso sono gli acerrimi nemici della salute sessuale maschile. "La letteratura scientifica raccolta sul tema ci porta a rafforzare il concetto secondo cui lo stile di vita ha un ruolo determinante nella comparsa e nel successivo progredire di molte disfunzioni sessuali e riproduttive", spiega Alessandro Palmieri, segretario della Sia e professore di Urologia presso la Clinica Urologica dell'Università di Napoli Federico II. "In particolare fumo, obesità, alcol e mancanza di esercizio fisico svolgono un ruolo significativo sia in chiave predittiva e protettiva, che in chiave terapeutica. Il consiglio medico per gli uomini, a tutte le età, è quindi quello di seguire uno stile di vita sano, che preveda un'alimentazione corretta e un'attività fisica regolare".
A tutela della salute sessuale maschile, la Società italiana di andrologia ha stilato quattro regole che ogni uomo dovrebbe seguire:
Smetti di fumare. Il fumo è responsabile di un'alterazione vascolare sia arteriosa sia venosa. Può interagire con altri fattori di rischio causando o peggiorando la disfunzione erettile. Diversi studi, inoltre, hanno dimostrato che ha effetti negativi sulla spermatogenesi (processo di produzione di spermatozoi) sulla concentrazione di spermatozoi nel liquido seminale, sulla loro motilità, vitalità e morfologia. Le sostanze tossiche contenute nel fumo possono provocare alterazioni genetiche negli spermatozoi che impediscono allo zigote di svilupparsi in modo normale .
Corri almeno 2,5 ore a settimana. Un regolare esercizio fisico da moderato a intenso può ridurre il rischio di disfunzione erettile, anche in uomini che iniziano in età adulta.
Non bere più di sette drink a settimana. Se è vero che l'assunzione di alcol in piccole quantità ha un effetto vasodilatatorio e diminuisce l'ansia, migliorando l'erezione e l'attività sessuale, l'abuso di alcol diminuisce la libido e può avere degli effetti irreversibili sulla funzionalità erettile in quanto causa di danni neurologici.
Mangia cereali, frutta, verdura, pesce, amminoacidi e antiossidanti. La dieta mediterranea e una riduzione del consumo calorico, assicurano gli esperti, migliorano la funzionalità erettile.

Ieri sul Mercantile abbiamo letto che "La situazione debitoria della società rossoblù si complica di giorno in giorno al punto da costringere la Porto Antico Spa a preparare la seconda ingiunzione di pagamento. Nel 2012 la società aveva firmato un contratto per 90mila euro annui ma dopo aver pagato le prime mensilità si era fermata. Passando il tempo il debito era cresciuto fino a superare i 50.000 euro al punto da costringere il consiglio d'amministrazione della Porto Antico di muovere il primi passi. Prima avvisi bonari, rimasti inascoltati, e quindi un decreto ingiuntivo che è stato "recepito" dal Genoa che successivamente aveva iniziato a saldare dopo essersi accordato per un pagamento dilazionato nel tempo. Le prime rate erano quindi state regolari ma di nuovo da parecchi mesi si sono interrotte così da far salire di nuovo il debito che ora supera i 90.000 euro. A breve i vertici della Porto Antico si riuniranno per portare avanti il secondo decreto ingiuntivo per costringere il Genoa a rientrare. Se poi il modus operanti del club continuasse ad essere lo stesso anche in futuro è certo che arriverà lo sfratto per morosità". E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 05/06/2015 @ 06:50

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che non mi chiamo "Matteo Sacchetti", ma per 48 ore mi metto nei panni di un ragazzo omosessuale, Matteo Sacchetti. Al centro di spiritualità Sant'Obizio, in mezzo alle montagne e a un passo dalle terme di Boario, il gruppo Lot (dal nome dell'uomo che scappò da Sodoma e Gomorra prima che venissero distrutte con fuoco e fiamme da Yahwè) si propone di guarire da questa "ferita" che - dicono - è l'essere gay. Le tre persone a capo del seminario si chiamano "leader", e il leader dei leader è Luca Di Tolve, che poi sarebbe il Luca era gay della discussa canzone di Povia del Sanremo 2009: un ex attivista dell'Arcigay, ballerino alla discoteca Plastic di Milano, inventore delle crociere per omosessuali. Ora impegnato in questa nuova missione che però parte da un assunto smentito in tutte le lingue dall'Oms: cioè che l'omosessualità sia una malattia. Si comincia il venerdì e si finisce il martedì. Cinque giorni di messe, canti, preghiere, invocazioni dello spirito santo, confessioni, meditazioni con la luce spenta e soprattutto slide e lezioni dai titoli tipo "I meccanismi della confusione sessuale", "Narcisismo e idolatria relazionale" e così via. Tutto al prezzo di 185 euro, più una ben nutrita biblioteca con libri, riviste e dvd da comprare e studiare una volta tornati a casa. I tre leader, tutti sedicenti ex gay, sono affiancati da un frate francescano (don Enrico, capelli corti e barba da mullah, neanche 40 anni) e da un padre passionista (don Massimo, tonaca nera e una croce dentro al cuore come simbolo, esperto in esorcismo).
Ma bisogna fare un passo indietro. Per partecipare al corso "Adamo ed Eva: dove siete?" si deve compilare e inviare un questionario all'associazione. "Descrivi il tuo problema dal punto di vista sessuale o emozionale"; "Come si manifesta il problema?"; "Hai già ricevuto una consulenza psicologica in merito? ". Dopodiché si allega la fotocopia di un documento di identità, così quelli del gruppo Lot controllano su internet che non siate agenti del nemico (militanti gay o giornalisti) in avanscoperta. Il mio "Matteo Sacchetti" passa le selezioni grazie a Photoshop.
La casa di spiritualità è una specie di convento gestito da Di Tolve insieme alla moglie, di proprietà della Congregazione Sacra Famiglia di Nazareth. È pensata soprattutto per incontri di gruppo, ogni mese c'è un seminario di "guarigione e liberazione interiore". Stavolta gli ospiti sono una decina: c'è chi è arrivato da Palermo, chi da Bologna, chi da Milano. Un idraulico, un imprenditore, un avvocato. Una sentinella in piedi, un ex protestante, una ex estremista di destra. Il problema è lo stesso per tutti: quelle pulsioni, quell'istinto, da sradicare in un qualche modo. "I primi due giorni saranno durissimi - premette Sandro (il nome è di fantasia, in famiglia non sanno del suo passato) - ma vedrete che poi starete meglio. Lasciatevi andare, lasciatevi aiutare dal Signore". Le regole del corso sono essere puntuali agli appuntamenti, non giudicare gli altri corsisti, non parlare all'esterno di ciò che qui si è detto, o almeno, non riferire le esperienze altrui. Il programma è serrato e si parte ogni mattina con la messa alle 7.45 (e solo dopo la colazione), mentre l'ultimo insegnamento finisce alle 22.30. Si pranza e si cena tutti insieme e almeno lì l'atmosfera sembra rilassata. Si gioca tutto sulla ripetitività: nello scaglionamento delle giornate, nelle canzoni, nei riti, soprattutto nel messaggio in sé.
Primo punto: "L'omosessualità non esiste e voi non siete gay, siete solo persone che hanno un problema", spiega Di Tolve. Secondo punto: se soffri non è perché non accetti ciò che è naturale, ma perché non hai ancora scoperto ciò che ti ha fatto nascere una certa inclinazione. "I bisogni insoddisfatti - continua - causano il danneggiamento della sessualità e della sfera relazionale ". Terzo punto: quel peccato ("un abominio ") fa star male Dio, e quindi "bisogna sfidarlo ed essere coraggiosi". Già alla seconda lezione qualcuno piange e non trattiene le lacrime. Si parla delle "ferite della madre". Senti di essere gay? "Magari quando sei nato sei stato lasciato in incubatrice, quindi hai perso l'affetto iniziale della mamma, e in quel dolore inconscio è germogliata l'omosessualità", ragionano i leader. Si parla dei padri: il non essersi sentito accettato, l'aver provato rancore nei suoi confronti, ecco, anche lì, si finisce per diventare gay "perché si cerca in altre figure maschili quell'antico sentimento non corrisposto". Un impasto di psicologia spicciola e fondamentalismo religioso, come il continuo richiamo a Satana, alle sue tentazioni, al suo potere, "al dominio delle tenebre". Il mondo dei media, ad esempio, "è chiaramente in mano al Diavolo". Con le associazioni gay che stanno perseguitando la famiglia naturale.
Di fronte a un particolare bisogno di consulenza, i partecipanti sono invitati a sfruttare le poche pause per parlare in privato con uno dei leader. "Come stai, come ti senti?", mi chiede un "collega" in cerca di guarigione. "Sai, io sto male, combatto questa cosa da sempre", aggiunge. E viverla per quello che è, invece? "Ci ho anche provato, ma mi sento sporco e indegno". Qualcuno prova a raccontarsi con gli altri, i più timidi invece tengono tutto dentro e non capisci mai quel che pensano davvero. La domanda da un milione di dollari è se alla fine di questo seminario esiste davvero chi, da gay, si trasforma magicamente in etero. "La guarigione dipende da quanto si apre il nostro cuore a Gesù e da quanto si è disposti a sacrificare il proprio corpo alla volontà di Dio", è la risposta. I leader - gli ipotetici guariti - adesso sono sposati e hanno figli. Ma che fatica trasmettono in quella loro ricerca di essere "normali". Durante le cerimonie si prostrano più di tutti e, ammettono, la loro è una battaglia giornaliera.
La sera i corsisti tornano nelle proprie stanze, in due o tre per ognuna. "So di gente che si è innamorata qui dentro. Di un altro uomo ovviamente", racconta Daniele (altro nome di fantasia). Viene da pensare che no, non si guarisce dalla malattia che non esiste. L'ultimo giorno ci sarebbe la gran chiusura con tanto di santa messa e di battesimo per "suggellare rinnovo e promesse". Prima, però, le ultime lezioni: "Ripristinare la mascolinità" e "ripristinare la femminilità". Ma Matteo Sacchetti non ce l'ha fatta: è scappato prima.

Campagna abbonamenti 2015-16: è giusto sottoscrivere la tessera? E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 04/06/2015 @ 07:10

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che era il 4 giugno 1989 quando i carri armati dell'Esercito di Liberazione Popolare cinese uccisero nella Piazza il cui nome rimane nella storia, centinaia di persone mettendo fine alle proteste degli studenti che reclamavano la democrazia. La protesta a piazza Tienanmen era iniziata un mese e mezzo prima, il 15 aprile. In quell'anno, quello della caduta del Muro, molti regimi comunisti furono rovesciati in Europa. Foto simbolo della protesta quella di uno studente che da solo e completamente disarmato, si para davanti a una colonna di carri armati per fermarli, il cosiddetto 'Rivoltoso sconosciuto'.

Finalmente è ufficiale la notizia che il Genoa non giocherà in Europa, dove andrà la Doria di Viperetta e Zenga: direi nulla di sorprendente; in più, per come si sono svolte le cose, nessuno saprà mai le motivazioni, nessuno saprà i reali e specifici motivi di questa esclusione, e questo fatto è decisamente grave. Ora inizieranno in molti a protestare, alcuni a difendere, altri infine a tranquillizzare le parti. Io penso che ormai la protesta "da dentro" non serva a nulla, tanto vale non farla ed accettare questo andazzo. Chi scrive pensa che l'unico vero metodo per protestare, e in sostanza non aderire a questo modus operandi, sia quello di non partecipare: una scelta difficile, ma che merita almeno un pensiero. Poi ognuno è libero di fare ciò che vuole, ogni decisione merita rispetto. E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 03/06/2015 @ 07:14

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che Joseph Blatter alza bandiera bianca: il presidente della Fifa lascia la presidenza. Il coinvolgimento del suo braccio destro Jerome Valcke è stata la goccia che ha travolto il n.1 del calcio mondiale, rieletto venerdì scorso alla guida della federazione mondiale: "Il mio profondo attaccamento alla Fifa mi ha spinto a questa decisione. Voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno sostenuto alla presidenza della Fifa e che hanno fatto per il calcio. Quello che conta per me è la Fifa e il calcio". Nella conferenza stampa convocata a Zurigo per annunciare le dimissioni Blatter ha detto che cercherà di organizzare un congresso elettivo straordinario prima di quello previsto il 13 maggio 2016 a Città del Messico. "Continuerò a esercitare le mie funzioni finchè non verrà scelto un nuovo presidente. Tengo alla Fifa più che a qualsiasi cosa, e voglio il meglio per il calcio, per questo avevo deciso di ricandidarmi alla presidenza. Le elezioni sono finite, ma le sfide che abbiamo davanti no. La Fifa ha bisogno di una profonda ristrutturazione: ecco perché ho convocato il consiglio elettivo straordinario. Tutto sarà fatto nel rispetto dello statuto e coloro che vogliono candidarsi avranno il tempo sufficiente per farlo".
Blatter ha ammesso di essersi ripresentato, nonostante lo scandalo corruzione che ha pesato sulla Fifa, "perché ero convinto fosse l'opzione migliore". Il 79enne dirigente svizzero ha sottolineato che "questo mandato non sembra essere supportato" da altre componenti del mondo del calcio. Per quanto riguarda invece le indagini da parte delle autorità svizzere, il procuratore generale elvetico ha ribadito che Blatter non è indagato.
Valcke era al corrente di tutto. Il numero due della Fifa era stato informato personalmente dalla Federazione Sudafricana di calcio dei 10 milioni di dollari da girare sul conto controllato dal presidente della Concacaf, la Confederazione nord e centro americana. Lo testimonia una mail, datata 4 marzo 2008. E che dimostra, in maniera inequivocabile, che la Fifa ha mentito ai giornalisti di tutto il mondo.
"Valcke non è coinvolto nella creazione, nell'approvazione e nell'esecuzione del progetto in questione", si legge nel comunicato stampa che hanno prodotto gli uffici della Fifa subito dopo la notizia, pubblicata dal New York Times, che l''high Fifa official' citato nell'indictment act dell'Fbi come soggetto che ha disposto i tre bonifici-tangente per un totale di 10 milioni di dollari sarebbe proprio il segretario generale della Federazione mondiale del calcio, il braccio destro di Sepp Blatter.
Una difesa d'ufficio che però viene annichilita dalla mail del 4 marzo 2008, indirizzata a lui dal presidente della Federcalcio sudafricana Oliphant. "Dear Mr Valcke", scrive Oliphant, "A seguito della decisione del governo sudafricano, la South African Football Association richiede che la Fifa trattenga 10 milioni di dollari dal budget previsto per il futuro Comitato organizzatore dei mondiali 2010 e giri quella somma al programma "Diaspora Legacy", riducendo il fondo totale da 423 a 413 milioni di dollari". Non solo. La mail specifica anche a chi devono finire i soldi. "Il programma è amministrato direttamente dal presidente della Concacaf, che agirà da fiduciario". E chi è il presidente Concacaf in quel momento? Il solito Jack Warner, arrestato mercoledì scorso per aver preso milioni di dollari di tangenti per pilotare tre voti decisivi per l'assegnazione dei mondiali 2010 al Sudafrica, in danno del Marocco. "Yours faithfully, Dr. M. Oliphant", così si chiude la lettera.
Per Valcke, e dunque per Sepp Blatter di cui Valcke è il collaboratore più fidato e stretto, diventa difficile adesso negare l'evidenza. A Zurigo sapevano tutti di quei dieci milioni di dollari di cui il Sudafrica si privava per offrirli alla Concacaf di Warner, che aveva votato a loro favore nel comitato esecutivo della Fifa. "Sostegno alla diaspora africana", era la giustificazione. Ma per gli investigatori dell'Fbi era soltanto il prezzo della corruzione. I tre bonifici sono stati effettuati a partire dal gennaio 2008 dal conto svizzero della Fifa direttamente su quelli della Concacaf in una banca di New York, "nella disponibilità - secondo l'accusa - di Jack Warner". Tant'è che 1,4 milioni li metterà sul proprio conto personale, altri 750.000 dollari li girerà sul conto alle Cayman di Chuck Blazer, il segretario generale Concacaf che da un paio d'anni, però, sta collaborando con l'Fbi. E che ha aperto agli investigatori americani il vaso di Pandora della Federazione mondiale del calcio. Cosa ancora ne uscirà, lo sapremo presto.

Oggi si concluderà la farsa europea del Genoa, l'avvocato napoletano Marcello De Luca Tamajo, Franco Frattini e Mattia Grassani sanciranno che in Uefa ci andrà la Doria di Viperetta e non il Genoa di Preziosi, due personaggioni. E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 02/06/2015 @ 08:17

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che se sei nato nel 1933, l'età non la puoi trascurare; soprattutto se fai l'attore non puoi pensare di interpretare il giovanotto che fa perdere la testa alle giovani signore. Anche se poi nella realtà li conosciamo tutti i ricchi ottantenni con fidanzate e pupattole a pagamento men che trentenni. Comunque, dice Michael Caine, "meglio vecchio che morto, sia nella vita che nei film. E per quel che riguarda le donne, io ho da quarantatré anni una moglie bellissima, nessuna attrice giovane può eguagliarla. Il segreto del nostro matrimonio è che lei non ha il ruolo della donna all'ombra del divo, noi siamo una cosa sola e non ci lasciamo mai: lei viene sempre con me, dovunque mi porti il lavoro, così da decenni evito le eventuali tentazioni. Quando torno da lei ogni sera, mi sento molto fortunato".

Chi ha visto Youth - La giovinezza, il film di Paolo Sorrentino, era sicuro che al Festival di Cannes lei avrebbe vinto il premio per il miglior attore. Credo che ci pensasse anche lei, e per questo poi si è eclissato in silenzio.
"Era già successo, sempre a Cannes nel 1966, con Alfie: avevo trentatré anni, ero il protagonista nel ruolo di un proletario dalle facili conquiste, mi dicevano che ero il più bravo: invece niente, anche se almeno allora il film vinse la Palma d'oro. Però ci rimasi male e sono passati quarantanove anni prima di accettare di tornare al festival".

Purtroppo anche questa volta inutilmente. Lei però di premi ne ha vinti tanti, compresi due Oscar per il miglior attore non protagonista, nel 1987 e nel 2000, per Anna e le sue sorelle di Woody Allen e per Le regole della casa del sidro di Lasse Hallström.
"Ma nel film di Sorrentino sono tornato dopo tanti anni a un ruolo di protagonista, il che è molto raro per un uomo della mia età. È da tempo che mi assegnano personaggi secondari, per fortuna divertenti e anche in film di grandioso successo, come la trilogia di Batman diretta da quel geniale regista che è Christopher Nolan. Un giorno di dieci anni fa me lo trovai davanti alla porta della mia casa di campagna, non lo conoscevo, mi mise in mano uno script, ed era il suo primo Batman: mi disse, la parte del maggiordomo è tua. Devo dire "Il signore è servito?", gli risposi un po' seccato. Invece è un ruolo molto bello, quello di una specie di padre protettivo nella vita dell'orfano Bruce Wayne. Da anni mi offrono ovviamente solo parti secondarie, e mai di amante, perciò non ho attorno ragazze: capita da quando mi arrivò una sceneggiatura e obiettai che la parte dell'innamorato mi pareva troppo breve. La risposta fu, "ma tu sei il padre!". Mi sono abituato alla comodità di non essere il protagonista, il lavoro si sbriga in fretta, non devo alzarmi all'alba né stancarmi".

Però ha accettato di essere la star del film di Sorrentino.
"Io non sono una star, sono un attore, e continuerò a esserlo fino a quando sentirò di dare il mio meglio. Dopo anni di interessanti, comodi piccoli ruoli, quando Sorrentino mi ha offerto una magnifica parte da protagonista, mi è sembrato di ringiovanire, anche se il personaggio è, come me, uno che ha superato gli ottant'anni. Mi ha detto: "Questo film l'ho scritto per lei, se mi dice di no non lo faccio". Potevo impedirgli di girare quello che per me, e mi pare anche per il pubblico, è un ottimo film? In inglese poi, e in un bel posto, dove mia moglie si è trovata benissimo e abbiamo avuto tutto il tempo di stare insieme".

Lei conosceva il cinema di Sorrentino?
"Io faccio parte dell'Academy che assegna gli Oscar: La grande bellezza l'ho visto e l'ho votato. Sorrentino è un giovane geniale dalle immagini indimenticabili e soprattutto, come Nolan, scrive lui la sua sceneggiatura, cioè è un autore, non solo un regista. Dieci minuti dopo averla letta, ho subito detto di sì. Gli sono molto grato per il modo in cui mi ha lasciato libero, e per la gentilezza dolcissima con cui mi dava suggerimenti".

Michael Caine è un uomo di ottantadue anni portati con ironica serenità, una figura alta e dritta, pochi capelli rimediati nel film da un parrucchino biondo, sul viso quelle rughe che aveva anche in passato, e che gli consentono di esprimere pensieri, emozioni, segreti, senza muovere un muscolo: voce magnifica che noi non conosciamo a causa del doppiaggio. Non è mai stato bello ma sempre fascinoso, ovvio sognarsi la sua elegante perfidia dopo aver visto le due versioni di Sleuth.

Nella prima versione, col titolo italiano Gli insospettabili quella del 1972, i due diabolici personaggi sono Laurence Olivier, il vecchio, e Michael Caine, il giovane. In quella del 2007, lei è il vecchio e Jude Law il giovane.
"Delle due versioni io preferisco la prima, ma non perché in quella ero ancora giovane, ma perché la sceneggiatura era dell'autore della commedia, Anthony Schaffer, e mi è sembrata più cattiva, da togliere il fiato. La seconda, che pure era stata adattata da Harold Pinter, è forse troppo tecnologica e io non credo che le macchine possano raggiungere la perfidia sofisticata degli umani".

Dal 1950 a oggi, lei è scivolato impeccabile e spesso indimenticabile in più di cento film o serial televisivi, girati in Inghilterra o negli Usa ma anche in Sudafrica come nel 1964, con Zulu.
"È stato il film che mi ha lanciato: ero giovane, biondo e slanciato, molto british, e mi offrirono la parte di un ufficiale britannico aristocratico: io però parlavo cockney, la lingua del proletariato, e gli inglesi avrebbero capito la differenza, ma il regista no, perché era americano, non poteva conoscere il nostro incancellabile classismo che si esprime soprattutto nel modo di parlare. Solo col tempo ho imparato anche a fingere la pronuncia posh, che si adatta di più alla mania di usarmi come personaggio di alta classe; persino in un film come Vestito per uccidere, in cui Brian De Palma mi trasformò in uno psichiatra psicopatico, un killer che per uccidere le donne si vestiva da donna. Pochi anni dopo ho lavorato anche con un regista italiano, Vittorio De Sica, un uomo molto simpatico, gentilissimo, con quella sua allegra napoletanità, e andammo subito d'accordo".

Il film era Sette volte donna, sette storie interpretate da Shirley MacLaine allora all'apice della carriera, e lei aveva il ruolo di un investigatore privato pasticcione. Quarantotto anni dopo lei è tornato a fidarsi di un regista italiano, Paolo Sorrentino.
"Ho accettato anche perché non dovevo essere me stesso, in nessun film lo sono stato mai. Però potevo usare la mia età come un privilegio, addirittura invecchiandomi un po' ed esorcizzando quella malinconia, quel senso di inutilità che temo gli anni possano portare".

Conosceva già Jane Fonda?
"Più di trent'anni fa siamo capitati nello stesso film, California Suite, ma non abbiamo girato una sola scena insieme. La vedevo solo la sera a cena, con tutti gli altri. Era una donna molto bella e molto simpatica. Lo è ancora oggi, ed è anche coraggiosa. Per il film di Sorrentino, nelle scene con Harvey Keitel, si è lasciata invecchiare, piena di rughe che non ha, lei che è famosa per l'impegno con cui riesce a non mostrare i suoi anni".

La giovinezza è girato in un bell'albergo svizzero trasformato in spa: lei frequenta questi luoghi, cerca di rallentare il tempo?
"Relativamente sì, cammino molto, non bevo più mentre in passato bevevo anche troppo. Ma non vado nelle spa, non credo ai miracoli, lascio che il tempo scorra naturalmente, anche perché penso che nulla possa davvero rallentarlo: vivere alla giornata, con la fortuna di aver vicino dei grandi affetti e poter ancora lavorare, mi pare il miglior modo di vivere gli anni che restano. Naturalmente con la fortuna di una buona salute: nel 2008 in Is Anybody There? ho accettato il ruolo di un vecchio che si spegne nell'Alzheimer, ispirandomi alla tragica fine di un mio amico. Il film impressionò talmente mia moglie Shakira da impedire a nostra figlia Natasha, che era incinta, di andarlo a vedere".

Lei ha fatto a tempo da bambino a vivere nella Seconda guerra mondiale: che ricordi ne ha?
"La nostra era una famiglia proletaria ma molto unita, mio padre lavorava in una pescheria, mia madre era domestica a ore, c'era anche il mio fratellino Stanley. Con i bombardamenti, noi bambini fummo evacuati lontano dalla periferia londinese, e il ricordo più doloroso è quello del distacco dai genitori. Molto mi ha segnato invece la guerra in Corea: avevo diciannove anni e ogni giorno affrontavo la morte. Non l'ho mai dimenticato, credo che quell'esperienza mi abbia anche reso più forte".

C'è una foto di lei ventenne con un gran ciuffone di capelli e vestito con giacca e cravatta, come un uomo in età. Del resto lei si sposò a ventuno anni, con una giovane donna conosciuta nei suoi primi tentativi di fare teatro. Due anni dopo nacque la sua prima figlia, Dominique.
"Allora non era il tempo dei ragazzi, eravamo subito uomini e come tali dovevamo comportarci. Nel teatro amatoriale non facevo carriera, al massimo ero il poliziotto che nell'ultima scena arresta il cattivo. Dovevo lavorare, ero spesso disoccupato, mantenere la famiglia era quasi impossibile. Patricia tornò con la bambina dai suoi, io dai miei".

Il successo lo ha raggiunto a trentatré anni con Alfie, che le ha fatto avere la prima nomination all'Oscar, e con il primo dei tre film tratti dai romanzi di Len Deighton in cui è l'agente Harry Palmer.
"Lavoravo senza sosta, bevevo due bottiglie di vodka e fumavo ottanta sigarette al giorno. Guadagnavo come non avrei immaginato, comprai un appartamento per mia madre e per me un antico mulino nei pressi di Windsor, da restaurare e con un giardino che mi avrebbe aiutato a sentirmi meno confuso".

Poi arrivò nel 1971 Shakira, modella angloguianese, aveva allora ventiquattro anni.
"Stavo guardando con un mio amico la televisione, quando in una pubblicità di caffè ci fu questa apparizione: non avevo mai visto una donna così bella, piena di luce, con un sorriso stordente e me ne innamorai all'istante. Manovrai per conoscerla e finalmente il suo agente mi fece avere il suo telefono. Non avevo una gran buona fama, lei gentile ma fredda mi disse di chiamarla dieci giorni dopo. Così feci e lei accettò una cena e venne a prendermi per sicurezza con la sua automobile. Non riuscivo a parlare, ero totalmente stordito da tanto splendore. Il lavoro ci separò per qualche settimana, ci ritrovammo a Londra e da quel momento non ci siamo mai, mai lasciati. Ci sposammo a Las Vegas nel 1973, poi nacque la nostra Natasha. Facevo un film dietro l'altro, anche bruttissimi, ma così potei comprare la casa dei nostri sogni, nell'Oxfordshire".

Non avete mai lavorato insieme?
"Una volta. John Houston mi voleva in L'uomo che volle farsi re, ma una attrice si era volatilizzata e non si riusciva a trovare la sostituta. Shakira era a tavola con noi e si offrì. Così abbiamo anche lavorato insieme, ma poi alla fine, nel film, sposa Sean Connery!".

Nel film di Sorrentino alla fine lei incontra sul palcoscenico la regina Elisabetta e il principe Filippo. Nel 2000 è stata la regina a farla Sir, quindi vi siete incontrati davvero.
"Più volte: la sera dell'onorificenza, mi chiese sussurrando se sapevo qualche bella barzelletta. Certo le risposi, ma forse non adatte a una regina. Lei fu la prima a raccontarmene una, e così non potei esimermi".

Pensa di rallentare il suo lavoro?
"Non ci ho ancora pensato. Nell'ultimo anno ho girato cinque film, compreso La giovinezza e Interstellar di Christopher Nolan. Ma sono molto impegnato come nonno. Potrei essere bisnonno ma mia figlia grande, Dominique, non ha avuto figli. Natasha invece ne ha tre, un maschietto di sei anni e due gemelli, maschio e femmina, di cinque: uno è scuretto come la magnifica nonna, due sono biondini come il nonno".
E come tutti i nonni di questo mondo, estrae dalla tasca un vecchio portafoglio tutto sdrucito, e mostra trionfante la foto di tre carinissimi piccini.

il campionato è finito, abbiamo visto un certo numero di vittorie e anche del bel gioco, ma la sostanza non cambia, questo calcio fa schifo e non c'interessa. Perchè criticarlo quando si è in bassa classifica è facile, smettere quando si fa qualche risultato positivo non è però molto coerente, altrimenti la critica iniziale si svuota completamente di senso, o no? E forza Genoa!

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